Il Sole 15.5.15
Bene sull’asilo, ma manca un approccio strutturale
Dall’agenda resta fuori la vera immigrazione
di Karima Moual
Quella presentata da Bruxelles come agenda europea sull’immigrazione è senz’altro un passo avanti, che non può che essere accolto con ottimismo. Ma non va scambiato per oro tutto quello che luccica. Innanzitutto perché la partita politica vera e propria è tutta da giocare nelle prossime settimane affinché le proposte diventino leggi e gli egoismi dei singoli Stati lascino spazio a quelle che sono le responsabilità nel far parte di una grande famiglia, chiamata Europa. Una strada ancora piena di ostacoli.
Ma anche perché ci si è concentrati molto sul sistema-asilo e poco sul resto che la battezzerebbe davvero come agenda sull’immigrazione. Molti, infatti, sono i temi fondamentali per governare il tema immigrazione, che sono di fatto trascurati. La visione di una politica strutturale sull’immigrazione legale, con strumenti di lungo termine, è citata ma è ancora debole. Con il rischio di ripercussioni proprio sull’Italia, frontiera di primo arrivo, esposta più di ogni altro Paese europeo.
Quello che viene per ora messo in campo è un approccio rivolto all’emergenza sugli sbarchi, puntando a regolamentare solamente la questione asilo. Sotto la pressione dei morti del Mediterraneo, si riforma l’accoglienza dei profughi con una visione europea, superando il Rapporto di Dublino. Le quote e i quattro criteri scelti per definire le percentuali per Paese sono innovazioni fondate su pragmatismo, politica e realismo che non possono essere sottovalutate. Anche su questo però non si può permettere che più di un Paese si sfili con un «non ci sto» a suon di clausole di opt out. Si rischia una deresponsabilizzazione generalizzata, che potrebbe far saltare anche quello che di buono c’è nell’accordo.
Ma al di là di questo, la questione immigrazione si risolve tutta qui? Evidentemente no, per chi vede la complessità della questione. Perché i continui sbarchi che arrivano sulle nostre coste, sono certamente di persone che fuggono da guerre feroci in Medio Oriente e in Africa, e che grazie al diritto d’asilo possono perlomeno chiedere aiuto, ma sono anche la conseguenza dei molti che fuggono da una guerra altrettanto feroce: quella della povertà.
È il più vasto capitolo dell’immigrazione tout court, immigrazione economica se vogliamo, di certo un fenomeno strutturale che poco ha a che fare con una contingenza emergenziale. Su questo l’agenda di Bruxelles è ancora debole e retrodatata. Si parla ancora di carta blu e immigrazione qualificata, mentre è ormai chiaro che molti degli immigrati, soprattutto in Paesi come il nostro, sono impegnati in lavori manuali, che vanno dai servizi all’agricoltura, fino a coprire le crepe del welfare. Così come sappiamo che la macchina europea dell’ingresso di un’immigrazione legale è lenta se non ferma da anni, e che di conseguenza favorisce il lavoro nero.
Vanno bene dunque tutte le disposizioni mirate al contrasto della criminalità organizzata, che dell’immigrazione ha fatto un business, gli aiuti ai Paesi di origine in chiave di cooperazione e i fondi indirizzati alle varie strutture per rendere la macchina di protezione europea efficiente, tuttavia, oltre la partita da giocare in Consiglio e in Parlamento sulle quote per Paese dei richiedenti asilo, sarebbe altrettanto auspicabile aprire il dibattito verso un’altra partita vitale per la crescita economica del nostro continente: quella dell’immigrazione legale.