Il Sole 11.5.15
Adozioni
I diritti contesi del parto anonimo
I rischi della proposta di revisione per la riservatezza delle partorienti
di Paolo Morozzo della Rocca
È giunta in questi giorni all’attenzione delle commissioni Affari costituzionali e Affari sociali della Camera, una proposta di modifica delle «disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità». Il testo unificato riassume otto diverse proposte nell’intento di adeguare la normativa alle indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale, che con la sentenza 278 del novembre 2013 (che fa seguito ad una precedente pronuncia di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo del 25 novembre 2012, caso Godelli c. Italia) ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del Dpr 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione».
Il legislatore deve ora realizzare quel ripensamento disciplinare che il giudice delle leggi non ha potuto fare, dovendosi limitare a censurare, seppure in via additiva, il vizio di illegittimità costituzionale della norma sino ad allora vigente.
Si tratta di realizzare un bilanciamento tra interessi in netto contrasto, che si possono così individuare come segue.
Da un lato ci sono:
l’interesse del figlio della donna che ha chiesto l’anonimato al momento del parto alla conoscenza della propria identità biologica e dunque dell’identità della partoriente;
l’interesse della donna di venire a conoscere il nato o comunque ad averne notizie.
Dall’altro lato abbiamo:
il diritto della madre biologica a conservare l’anonimato oppure a non conservarlo;
il diritto alla salute del nascituro, attraverso la sicurezza del parto in una struttura sanitaria, garanzia del diritto alla salute sia della madre che del neonato;
l’interesse generale a che le pratiche di interruzione della gravidanza non siano condizionate dalla prospettiva di non poter successivamente confidare nella garanzia dell’anonimato del parto e nella sua “tenuta” senza limiti temporali sia nei riguardi del nato sia nei riguardi dei terzi, specialmente quelli più prossimi alla donna (inclusi i familiari presenti e futuri ed i conviventi.
In questo bilanciamento di interessi occorre dunque considerare il diritto della donna al rispetto della propria riservatezza; diritto che non va confuso con quello alla conservazione dell’anonimato nei riguardi del figlio biologico che ha espresso il desiderio di conoscerne l’identità. Questo diritto alla riservatezza della donna trova espressione in primo luogo nella garanzia di non essere obbligata o forzata a dare conoscenza del parto anonimo alle persone che le sono attorno, anche a molti anni di distanza.
Il diritto alla riservatezza - diverso dal diritto a rimanere sconosciuta al figlio partorito in anonimato - non può costituire un profilo minore di riflessione, perché dal suo rispetto dipenderanno in misura determinante sia i comportamenti delle donne che in futuro dovranno scegliere se condurre a termine la gravidanza oppure se partorire dentro o ad al di fuori di una struttura sanitaria, sia la sorte delle donne che, avendo in passato partorito con la garanzia dell’anonimato, potrebbero trovarsi in serie e a volte drammatiche difficoltà nei confronti dei familiari o dei conviventi.
Alcuni dati di contesto possono aiutare, evitando rappresentazioni platoniche nelle quali, irrealisticamente, l’orizzonte dei soggetti coinvolti viene ridotto a due sole persone: il figlio in cerca della madre biologica e quest’ultima. Possiamo presumere che, delle 90 mila donne che dal 1950 a oggi hanno partorito in anonimato, la maggior parte sia ancora vivente e residente in Italia e che si trovi in contesti familiari i cui membri in molti casi non sono a conoscenza del parto in passato vissuto dalla donna in forma anonima.
Riguardo poi ai circa 400 parti in anonimato che attualmente si verificano ogni anno in Italia, l’altissima percentuale di giovani donne straniere che sono coinvolte può fare immaginare che esistano esigenze vitali di riserbo nei riguardi dei familiari e delle comunità di appartenenza, nelle quali la filiazione fuori del matrimonio è a volte considerata alla stregua di un delitto e conduce comunque alla marginalizzazione.
Le osservazioni sin qui svolte portano a tre possibili suggerimenti:
nel modificare la normativa, dobbiamo essere consapevoli della rilevanza del diritto al riserbo della donna nei riguardi dei terzi a lei più vicini, per garantire il quale sarebbe oltre modo opportuno riferirsi all’esperienza ed ai pareri dell’Autorità garante dei dati personali;
per realizzare il bilanciamento di interessi tra il figlio non riconosciuto alla nascita e la donna che lo ha partorito in anonimato, si può immaginare che ciascuna delle due richieste (da depositare e conservare presso l’Autorità garante dei dati personali) possa rimanere illimitatamente efficace nell’attesa dell’eventuale incontro con l’altra. Solo una volta che sia intervenuta la seconda richiesta potrebbe prendere avvio - forse presso il giudice civile - il procedimento oggi configurato dall’articolo28;
sarebbe inoltre opportuno prevedere una disciplina di migliore accompagnamento della donna nella fase precedente e immediatamente successiva al parto, che meglio ne consenta l’orientamento a una scelta consapevole e davvero libera, regolando la raccolta immediata di dati utili per le future necessità di cura del nato; e che consenta alla donna di rendere da subito conoscibili, se vuole, alcune notizie o circostanze riguardanti il proprio profilo personale e le ragioni della scelta di partorire in anonimato.