Il Manifesto 6.5.15
Italicum, al danno di oggi si aggiunge quello futuro
Di M. Villone
Riforme. Regolamenti delle camere stracciati, deputati rimossi d'imperio, fiducia cieca, lo strappo di Renzi alla democrazia resterà nel tempo
Tutto secondo copione. L’Italicum è legge, le opposizioni – non tutte — scelgono l’Aventino, la minoranza Pd valorosamente vota in ordine sparso, Renzi esulta. Ma su una cosa ha torto. Non importa solo fare, in qualsiasi modo: è decisivo anche il come.
I 334 voti a favore dimostrano con certezza almeno tra cose.
La prima: senza i numeri drogati dal premio di maggioranza dichiarato costituzionalmente illegittimo l’Italicum non avrebbe mai visto la luce.
La seconda: che la nuova legge elettorale non esprime gli orientamenti politici oggi prevalenti nel paese.
La terza: che dunque tutte le forzature e violazioni di prassi e regolamenti imposte per ottenere il risultato sono state prevaricazioni di una minoranza, e tali rimangono. Il tutto per approvare una legge che – come abbiamo già ampiamente dimostrato su queste pagine — disattende in larga misura i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sent. 1/2014.
Vengono dall’Italicum gravi danni collaterali. Sono tre i passaggi che più si staccano dalle best practice di una democrazia moderna e avanzata: Il cd. «emendamento Esposito», che ha consentito il maxicanguro e ha fatto scomparire in Senato migliaia di emendamenti; la sostituzione forzosa in Commissione dei dissenzienti; le questioni di fiducia poste alla Camera. Scelte che pongono una seria minaccia per il futuro dell’istituzione parlamento.
Nei casi indicati si è detto che esistevano precedenti. Qui bisogna intendersi. Il richiamo al precedente non è dato soltanto dalla mera ripetizione di un comportamento tenuto in passato. Il precedente va visto anche nel contesto in cui il comportamento si colloca.
Quindi, una prima considerazione di ordine generale ci dice che dopo la sent. 1/2014 qualsiasi precedente doveva essere valutato con estrema cautela. La sentenza poteva anche – secondo l’opinione prevalente e il suggerimento della stessa Corte – non inficiare la legittimità formale del parlamento in carica. Ma certo determinava una situazione eccezionale e priva di riscontro nel passato. Ne veniva ineluttabilmente che il rapporto tra le forze politiche non era quello che avrebbe dovuto essere, per l’indebito vantaggio nei numeri parlamentari concesso ad alcune dal premio di maggioranza dichiarato illegittimo. Questo avrebbe dovuto togliere peso e significato ai precedenti volti a garantire un dominio maggioritario dei lavori in Commissione e in Aula. Il fulmine che colpisce la maggioranza nel suo momento genetico colpisce fatalmente al tempo stesso il mantra del suo diritto a governare.
Le Presidenze delle Assemblee avrebbero dovuto interpretare regolamenti, prassi e precedenti con intelligenza istituzionale volta a tenere conto di tale eccezionalità. Non l’hanno fatto. Al contrario, hanno consentito un uso mai visto prima di strumenti volti al governo maggioritario dei lavori parlamentari, senza affatto considerare che nelle condizioni date bisognava invece garantire in special modo ogni spazio di opposizione e dissenso.
Di qui l’aver ammesso in Senato il cd «emendamento Esposito», con la caduta di migliaia di emendamenti. Essendo genericamente riassuntivo di principi poi specificati nel testo, poteva e doveva essere dichiarato inammissibile, in quanto privo di un proprio contenuto normativo. Da qui l’inerzia di fronte a sostituzioni forzose di componenti di commissione, al dichiarato scopo di superarne il dissenso. La libertà di ciascun parlamentare è pietra angolare dell’istituzione parlamento, e rimane affidata per la tutela al presidente dell’assemblea.
Da qui, infine, le questioni di fiducia nonostante il diritto di richiedere il voto segreto sulla legge elettorale sancito dal regolamento Camera. Su questo punto in specie lo stesso discorso di De Gasperi sulla fiducia per la legge truffa nel 1953 — citato in questi giorni sulla stampa – ci dice perché in quella lontana vicenda non poteva vedersi alcun precedente.
Un Renzi non vale un De Gasperi. L’avevamo sospettato.
Al danno di oggi si aggiunge quello futuro, se quanto è accaduto diventa a sua volta precedente. Sarà facile bloccare ogni tentativo di opposizione o dissenso attraverso emendamenti. Non dovrà nemmeno scomodarsi il governo: basterà un parlamentare attento ai voleri del capo e abile nei riassunti. Si potrà imbavagliare chiunque alzi la voce nel proprio gruppo, semplicemente lasciandolo fuori della porta al momento della decisione. E si è messo alla mercé del governo attraverso il voto di fiducia il diritto al voto segreto a richiesta già ridotto a materie tassativamente determinate. Proprio nel momento in cui ne veniva colpito il fondamento con la sentenza 1/2014, alla maggioranza numerica in parlamento sono stati consentiti strumenti di ampiezza inusitata rispetto al passato.
Incombe sulle assemblee elettive lo spettro di una dittatura di maggioranza, per di più drogata dal sistema elettorale e piegata sul leader. Renzi twitta: basta dire no, avanti con umiltà e coraggio. A dire il vero, fin qui abbiamo visto solo arroganza e prevaricazione, e tanti sì estorti con ogni mezzo.
Rimane la domanda: ma un’assemblea di lanzichenecchi che non riflette il paese reale, a che serve? Al più, è buona a occultare i conflitti, non certo ad affrontarli. È come ramazzare l’immondizia sotto il tappeto. E quindi concordiamo con Renzi quando a Milano dice agli imprenditori che l’idea di fondo dell’Italicum – certezza immediata di chi vince e governa — non è particolarmente geniale. Anzi, è del tutto sciocca.