Corriere La Lettura 3.5.15
La dieta (diversificata) creò l’uomo
Così la cottura ha accelerato l’evoluzione
Mangiavamo gallette già 30 mila anni fa
Il progetto di ricerca s’intitola «Le risorse vegetali nel Paleolitico»
di Telmo Pievani
Nutrire il pianeta, recita il titolo di Expo 2015, ma con che cosa? L’evoluzione del cibo sta diventando un campo di studi ricco di colpi di scena. Ci hanno insegnato che la cottura e il trattamento dei vegetali cominciarono con la rivoluzione agricola, intorno a 11.500 anni fa, quando Homo sapiens iniziò a selezionare in modo consapevole piante e animali, modificandoli nel corso delle generazioni attraverso incroci mirati e producendo così un surplus di cibo. Ora però si scopre l’esistenza di una farina che è di ben 20 mila anni più vecchia. Presso il lago di Bilancino in Mugello, vicino al fiume Sieve, in un sito del Paleolitico superiore risalente a più di 30 mila anni fa, i ricercatori italiani coordinati da Anna Revedin, dell’Istituto italiano di preistoria e protostoria, e da Biancamaria Aranguren, della Soprintendenza archeologica della Toscana, hanno trovato una serie di strumenti litici insoliti. La loro forma non ricorda il corredo tipico dei cacciatori dell’epoca. Due in particolare si sono rivelati essere una macina e un pestello. Sulla loro superficie, tracce di amido per lo più riconducibile alla tifa, una pianta palustre comune, ancora oggi usata per le fibre e la produzione di farina. Annunciati sulle massime riviste mondiali nel 2010, quei granuli di amido sono i resti della più antica farina al mondo.
La digestione dei carboidrati complessi non può avvenire senza preventiva cottura. Questo vale anche per le farine paleolitiche: per avere una conferma sperimentale del procedimento di lavorazione, gli archeologi hanno provato a impastare e cuocere la farina di tifa, prodotta dai rizomi della pianta con strumenti del tutto simili a quelli di Bilancino, scoprendo che la ricetta funziona e che si possono ottenere gallette energetiche dal gusto gradevole. Gallette paleolitiche per riempire stomaci di camminatori sempre più esigenti.
La scoperta è stata confermata da ritrovamenti affini in siti europei coevi, in Russia e Repubblica Ceca, mostrando che si trattava di un comportamento non occasionale, ma diffuso a quell’epoca nei gruppi di Homo sapiens che erano arrivati dall’Africa e dal Medio Oriente quindici millenni prima. Dunque già nel Paleolitico superiore Homo sapiens non limitava la sua alimentazione ai soli derivati della caccia, ma aggiungeva importanti fonti energetiche di origine vegetale. La dieta era quindi mista ben prima dell’agricoltura, come attestano anche scoperte recenti in siti paleolitici in Puglia, in Marocco e in Cina. La datazione della farina di Bilancino è sorprendente anche perché sfiora un’epoca in cui ancora circolavano dalle nostre parti i veri europei autoctoni, cioè i Neanderthal, estintisi nella penisola iberica intorno a 30 mila anni fa. Da scoperte recenti sappiamo che anche loro avevano imparato a selezionare le piante, e forse a prepararsi le prime «tisane» della storia. Nel sito spagnolo di El Sidrón, nelle Asturie, sulla placca dentale di cinque Neanderthal sono stati trovati i resti di piccoli grani di azulene, il principio attivo della camomilla. Dato che la pianta ha un sapore sgradevole e scarso valore nutritivo, è probabile che i Neanderthal l’avessero introdotta a uso terapeutico, intuendone le proprietà calmanti. Fra i denti avevano pure composti vegetali quali le cumarine (dalle achillee, piante con proprietà analgesiche e antinfiammatorie), tracce di noci, verdure crude, ma anche vegetali arrostiti sul fuoco. Insomma, una dieta molto varia, cruda e cotta.
Il vantaggio adattativo di un’alimentazione diversificata è chiaro. Queste popolazioni umane dovevano sopravvivere in ambienti instabili, con fonti di proteine animali occasionali e incerte. Avere riserve di cibo indipendenti dalle fluttuazioni ambientali, ottenute dalla cottura delle parti vegetali più ricche di amidi, poteva fare la differenza fra la vita e la morte. E così vacilla anche un altro convincimento radicato. Si era sempre pensato infatti che l’introduzione della carne cruda nella dieta dei nostri antenati — all’inizio ottenuta occasionalmente dalle carcasse di animali abbattuti dai predatori e poi procacciata in modo attivo — avesse da sola accelerato l’evoluzione del nostro cervello negli ultimi due milioni di anni.
Il primatologo di Harvard Richard Wrangham e alcuni suoi colleghi propongono però oggi un’altra teoria. Nel clima secco africano di due milioni di anni fa i tuberi erano molto diffusi. Da crudi, però, erano indigesti. Wrangham ritiene che le popolazioni del genere Homo abbiano cominciato ad «assaggiarli», cotti o semicotti, grazie agli incendi occasionali che investivano la savana. I tuberi sono ricchi di un tipo di amido non digeribile se ingerito crudo. Con la cottura o la bollitura si rompono le strutture chimiche dell’amido, rendendolo assimilabile dall’intestino e, di conseguenza, molto più nutriente. Questi alimenti non proprio aggraziati (patate, cassava, kumara, manioca...) avrebbero rivestito un ruolo cruciale nella storia umana, perché furono i co-responsabili dell’evoluzione del nostro grande ed esigente cervello. A quel punto la dieta diversificata tipicamente umana era completa: carboidrati (ora più digeribili), proteine e grassi della carne in quantità moderata, frutta e semi.
Wrangham è vegetariano militante e le sue ipotesi sul ruolo meno centrale della carne lasciano perplessi altri colleghi. Comunque sia, con tuberi o carne sul fuoco, i cuochi preistorici sarebbero stati i veri fautori dell’umanità. I calcoli sui tassi metabolici dicono che una dieta con cibo soltanto crudo difficilmente apporta sufficienti calorie per il fabbisogno normale di un essere umano. Eppure le grandi scimmie nostre cugine più strette se la cavano benissimo con cibi crudi. Ciò significa che l’anatomia umana, in particolare denti ridotti e intestino più corto, si è poi adattata così bene alla digestione del cibo cotto (tenero e con meno fibre) che ora perde la sua efficacia se il cibo è crudo.
La cottura, quindi, da possibilità evolutiva inedita è diventata per noi sempre più necessaria, probabilmente in modo graduale e soprattutto negli ultimi 350 mila anni, da quando cioè le attestazioni di domesticazione del fuoco si fanno più frequenti. L’evoluzione non ci dice se sia più «naturale» essere onnivori o vegetariani. Ci dice che la dieta diversificata è molto più antica del previsto e, soprattutto, che i cambiamenti culturali introdotti dalla specie umana (in questo caso la cucina) hanno modificato l’ambiente e il nostro modo di vivere, e con essi persino la nostra stessa biologia.
Il progetto di ricerca:
S’intitola «Le risorse vegetali nel Paleolitico» il progetto di ricerca, condotto su scala europea per impulso dell’Istituto italiano di preistoria e protostoria, dal quale risulta che l’uomo di 30 mila anni fa macinava vegetali per trarne farine. I risultati sono stati illustrati nel convegno «La prima farina in Toscana. Alle origini dell’alimentazione», che si è tenuto a Firenze presso Palazzo Strozzi Sacrati, il 23 aprile scorso, nel contesto delle manifestazioni per Expo 2015
La svolta della cottura
L’ipotesi controversa che sia stata la cottura (della carne, ma soprattutto di tuberi e vegetali, con il surplus energetico che ne consegue) a rivoluzionare la storia umana è stata formulata dal primatologo e antropologo di Harvard Richard Wrangham nel libro L’intelligenza del fuoco (traduzione di Daria Restani, Bollati Boringhieri, 2014). Noi abbiamo inventato il fuoco, sostiene Wrangham, ma in ultima analisi è l’utilizzo del fuoco che poi ha reinventato noi
Stili di alimentazione
Di cibo e culture nella preistoria discute il volume In carne e ossa di Gianfranco Biondi, Fabio Martini, Olga Rickards e Giuseppe Rotilio (Laterza, 2006). Sul ruolo dell’alimentazione e degli stili di vita nell’evoluzione umana, si può leggere anche I signori del pianeta (traduzione di Allegra Panini, Codice Edizioni, 2013) di Ian Tattersall, paleoantropologo dell’American Museum of Natural History di New York. Lo stesso Tattersall, insieme al genetista Rob DeSalle, ha pubblicato di recente una curiosa «storia naturale del vino», dal titolo Il tempo in una bottiglia (traduzione di Sonia Cambursano, Codice Edizioni, 2014)
Biologia e cultura
Per capire come la cultura ha trasformato l’evoluzione umana, modificando l’ambiente e interagendo con la nostra fisiologia, un testo utile è Non di soli geni , di Peter J. Richerson e Robert Boyd (traduzione di Simonetta Frediani, Codice Edizioni, 2006)