Corriere 8.5.15
Simone Weil sedotta dall’Italia
Chi conosce gli scritti politici di Simone Weil può trovare singolare il suo Viaggio in Italia , edito da Castelvecchi a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito (pp. 128, e 16,50), in cui racconta quanto ha visto durante i suoi due soggiorni: il primo nell’aprile-giugno 1937, il secondo dal maggio al luglio del 1938. «Milano è una città popolosa, di quelle che piacciono a me», scrive nel 1937. E aggiunge: «La popolazione di qui è veramente simpatica», per precisare più oltre che «dopo una o due ore di contemplazione, ho scoperto il segreto della composizione della Cena», quella di Leonardo. Prosegue verso la Toscana, e commenta: «Firenze è la mia città. Di sicuro ho vissuto una vita precedente tra i suoi uliveti». E pochi giorni dopo osserva che «le bellezze di Firenze sono tali che D’Annunzio non sarebbe capace di celebrarle». Poi prosegue verso la capitale e non solo confessa «mi sono sentita a mio agio a Roma», ma precisa: «Se il paradiso somiglia a San Pietro durante i cori della Sistina, vale la pena di andarci». Ogni pagina di Simone Weil offre almeno un giudizio che fa pensare. Trovo esatta l’osservazione dei curatori: «C’è in lei, in un certo senso, un entusiasmo, percorso da delicate venature di utopia, verso se stessa e verso quegli aspetti della realtà che, di volta in volta, si lasciano scoprire».