Corriere 29.5.15
Il premier scommette sul 6 a 1. Ma ora teme Grillo e la Liguria
di Maria Teresa Meli
Renzi ai suoi: dati positivi però non mi fido, una parte del Pd e della Cgil gioca contro
ROMA «Faremo una bella sudata, ma vedrete che andrà bene»: Matteo Renzi continua a rassicurare i suoi, nonostante le incertezze e le polemiche di questi giorni. E a Palazzo Chigi, dove i sondaggi vengono sfornati a ritmo incessante, il risultato è sempre lo stesso (anche se non si dice più pubblicamente per scaramanzia): sei a uno.
Ma il presidente del Consiglio ai suoi collaboratori confida: «Ragazzi, è un risultato ampiamente possibile, anche se certe uscite propagandistiche contro di noi potrebbero nuocerci». L’accenno, nemmeno tanto velato, è alla decisione di Rosy Bindi di dare pubblicità a una commissione Antimafia che appariva un po’ appannata e al «caso De Luca» che ormai occupa le prime, le seconde e le terze pagine di molti giornali.
Apparentemente è la Campania la regione più ostica, a causa di quella legge Severino che impedirebbe all’ex sindaco di Salerno di governarla. Ma in realtà gli occhi di tutto il Partito democratico sono puntati centinaia di chilometri più a Nord. Cioè in Liguria.
Lì i sondaggi impazzano. E non premiano, come pure si è scritto, Giovanni Toti, perché, come ha ammesso lo stesso Silvio Berlusconi, in un momento di scoramento: «Noi non vinceremo da nessuna parte».
I riflettori illuminano un’altra scena. E un’altra parte politica. Cioè quel Movimento 5 Stelle capeggiato Beppe Grillo.
Hanno raccontato che il premier, che secondo le indiscrezioni delle ultime settimane, avrebbe dovuto chiudere la campagna elettorale del Partito democratico a Genova, abbia rinunciato al comizio finale nel capoluogo ligure per paura di intestarsi un’eventuale sconfitta elettorale in una regione dove Raffaella Paita fatica a emergere, stretta tra l’ex pd Luca Pastorino e i grillini che, secondo alcuni sondaggi, la tallonano.
In verità il presidente del Consiglio, sempre attento al «suo» storytelling, ha preferito una nuova conclusione.
Una chiusura al femminile che gli sembrava più consona: così lì Paita farà il suo comizio finale con Debora Serracchiani, Roberta Pinotti e Marianna Madia e Maria Elena Boschi, che ieri, non a caso, ha voluto partecipare alla campagna elettorale del candidato sindaco di Ercolano per dimostrare che il «progetto di rinnovamento e cambiamento del Pd avviato da Renzi» non si è interrotto.
In Liguria, comunque, i dirigenti del Pd hanno ancora qualche timore, anche se i sondaggi riservati la attribuiscono ai «Democrats». Tant’è vero che già ieri Sergio Cofferati chiedeva che si contassero i voti del partito. Come a dire: non basta vincere il presidente della giunta regionale.
La «vecchia guardia» non si arrende, dicono scherzando al Nazareno. Dove, però, qualche preoccupazione c’è. «I dati non sono affatto male e dicono che vinciamo, ma io non mi fido...», è stata la prudente considerazione che il premier ha affidato ai suoi collaboratori.
Già. Renzi sa bene che «una parte del Pd e della Cgil giocano contro di me», per un banale e semplice motivo: se lui riuscisse a vincere anche le elezioni, strappando un’altra regione ancora al centro destra (la Campania) e mantenendo, pur tra tutte le difficoltà, la Liguria, dopo aver portato a casa sia il Jobs act che l’Italicum, sarebbe assai complicato per la minoranza del Partito democratico continuare una guerra che finora è costellata solo di battaglie perdenti.
Ma se invece in Liguria il Pd perdesse e i grillini riuscissero ad assicurarsi per la prima volta una regione, allora le carte in tavola cambierebbero. Renzi infatti è stato l’uomo che il Pd ha scelto per fermare l’ascesa del Movimento 5 Stelle. Quando un pezzo del Partito democratico, che pure non simpatizzava per l’allora sindaco di Firenze, decise di staccare la spina al governo guidato da Enrico Letta, lo fece proprio perché convinto che con quell’esecutivo i grillini sarebbero diventati una forza inarrestabile, mentre con Renzi avrebbero avuto vita d ura.
Cosi è stato. E alle Europee il Pd ha ottenuto un risultato insperato, mentre i pentastellati si sono fermati. Del resto, fu lo stesso Renzi a spiegare che se non ci fosse stato lui a palazzo Chigi «chissà a quest’ora Grillo quanti voti avrebbe avuto». Ebbene se ora si registrasse, seppure nella sola Liguria, un’inversione di tendenza questo sarebbe un segnale di cui il premier non potrebbe tener conto.
Significherebbe che la «spinta propulsiva» del renzismo della prima ora si sta esaurendo e che l’antipolitica che il presidente del Consiglio era riuscito a bloccare sta piano piano riprendendo piede.
Ma sono tutte ipotesi, è chiaro. Perché al premier basterà vincere con un sei a uno, anche con un Vincenzo De Luca azzoppato e una Raffaella Paita senza una maggioranza che le consenta di governare da sola, per dimostrare, ancora una volta, che, nonostante gli errori compiuti sulla riforma della scuola, il suo governo intercetta ancora il consenso degli italiani. E allora, con i Cofferati, i Civati, i Fassina, le Camusso, le Bindi e quanti altri stanno «remando contro», ci sarà tempo pr chiarirsi, perché, come dice il premier: «I bilanci li faremo a urne chiuse».