Corriere 27.5.15
La spada di Damocle degli assegni «d’oro» e del contratto statali
di Antonella Baccaro
E due. Al ministero dell’Economia ieri hanno tirato un mezzo sospiro di sollievo: l’inammissibilità del ricorso proposto da due commissioni tributarie contro l’aggio, cioè quella percentuale dell’8% che il contribuente paga come remunerazione dell’attività degli agenti della riscossione, consente di risparmiare fino a 2,5 miliardi di rimborsi. Ma il pericolo che una sentenza della Corte costituzionale possa far saltare l’equilibrio dei conti pubblici non è ancora scongiurato. Sono in arrivo, infatti, altre due sentenze di rilievo, in grado, queste sì, di provocare danni. La prima riguarda ancora le pensioni, come quella che è costata allo stato 2,2 miliardi di rimborsi più una spesa aggiuntiva annua di 500 milioni. Ma se quella coinvolgeva il destino di 5 milioni di pensionati con un assegno da tre volte il minimo in su, questa riguarderà quelli più ricchi. Sotto la lente della Consulta è finito il prelievo sulle «pensioni d’oro» disposto da Letta nel 2013 sugli assegni di circa 50 mila pensionati, quelli che ricevono un assegno superiore a 14 volte il minimo (circa 90 mila euro all’anno). Costo di una sentenza avversa: 93 milioni all’anno, che si riducono a 52 se si calcolano i mancati incassi fiscali. Non v’è dubbio che a tenere il governo Renzi con il fiato sospeso sia l’ultimo pronunciamento in arrivo il 23 giugno, quello sul blocco del rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, fermi da sei anni. Costo del recupero dai 14 ai 16 miliardi: l’intero ammontare di una legge finanziaria. In via XX Settembre si fanno i dovuti scongiuri.