sabato 23 maggio 2015

Corriere 23.5.15
Gran Bretagna fra ebrei e arabi Storia di un mandato fallito
risponde Sergio Romano


 È vero che nel 1939 gli inglesi, con il Libro Bianco, decretarono che nei territori di quello che sarebbe poi divenuto lo Stato sionista non avrebbero potuto emigrare più di 75.000 ebrei in cinque anni? Se ciò fosse stato, lo sterminio degli ebrei avrebbe avuto così via libera, non per volontà dell’Inghilterra ma comunque perché quella legge agevolò Hitler nel compiere la strage. Le chiedo poi se il progetto nazista di inviare tutti gli ebrei in qualche isola africana (Madagascar?) fosse un programma effettivamente organizzato o solo un pretesto volto a mascherare il progetto di sterminio.
Vittorio Zanuso

Caro Zanuso,
Due anni prima del Libro Bianco, nel 1937, il governo britannico aveva affidato a una commissione reale, presieduta da Lord Peel, il compito di avanzare proposte per risolvere il costante conflitto tra ebrei e arabi, scoppiato all’inizio degli anni Trenta, quando una più numerosa immigrazione ebraica cominciò a modificare il rapporto demografico fra le due popolazioni. Londra stava pagando il prezzo delle troppe promesse fatte durante la Grande guerra. Agli arabi, per spingerli a insorgere contro l’Impero ottomano, aveva promesso l’indipendenza; agli ebrei, per indurli a sostenere gli Alleati soprattutto nella società americana, aveva promesso una home , parola aperta a diverse interpretazioni che fu tradotta in italiano con l’espressione «focolare».
Il governo britannico aveva dimostrato di essere sensibile all’aspirazione degli ebrei e ne dette una prova inviando a Gerusalemme, come Alto commissario, Herbert Samuel, un uomo politico liberale di origine ebraica. Ma nella seconda metà degli anni Trenta, dopo l’avvento di Hitler al potere e il numero crescente degli ebrei che desideravano lasciare la Germania per installarsi in Palestina, doveva tenere conto di altre esigenze, fra cui quella dell’ordine pubblico che divenne presto preminente.
La Commissione Peel, nel frattempo, aveva terminato i suoi lavori e proposto la spartizione della Palestina fra due Stati. La Gran Bretagna sarebbe rimasta nel territorio per garantire l’ordine e vigilare su un corridoio da Haifa a Betlemme, Gerusalemme e Nazareth. Era la migliore delle soluzioni possibili, ma la questione fu ulteriormente complicata dalla crescente radicalizzazione del conflitto. Mentre il Gran Mufti di Gerusalemme cercava appoggi fra i nemici della Gran Bretagna, in Palestina, accanto ai sionisti di Ben Gurion, nascevano gruppi «revisionisti» fra cui l’Irgun di Menachem Begin (il futuro Primo ministro dal 1977 al 1983) e la Banda Stern, che erano pronti a conquistare il potere con l’uso della forza e del terrore. Vi furono attacchi alle forze britanniche negli anni Trenta, ma gli atti più clamorosi cominciarono più tardi con l’uccisione nel 1944 di Lord Moyne, ministro di Stato britannico per il Medio Oriente e l’attacco al King David Hotel di Gerusalemme nel 1946, in cui perdettero la vita 100 persone, fra ufficiali britannici e civili.
È questo il contesto in cui il governo britannico, alla fine degli anni Trenta, ritenne di dovere contenere il numero degli ebrei che chiedevano asilo in Palestina. In Germania, nel frattempo, il regime nazista aveva messo allo studio il «piano Madagascar» per il trasferimento dell’ebraismo europeo nell’isola africana. Il piano fu accantonato quando l’evoluzione della guerra in Europa rese l’ipotesi Madagascar difficilmente realizzabile. Comincia allora, probabilmente nel 1941 allorché la Germania poté disporre dei grandi spazi russi, la politica della deportazione e dell’annientamento. Terminata la Seconda guerra mondiale, il governo laburista britannico (il ministro degli Esteri era Ernest Bevin) cercò di promuovere per qualche anno il progetto di un solo Stato palestinese per due popoli. Ma la soluzione non piacque né agli arabi né agli ebrei. Quando l’Onu, nel novembre 1947, accettò la tesi della spartizione, la Gran Bretagna gettò la spugna e rinunciò al mandato.