venerdì 22 maggio 2015

Corriere 22.5.15
L’uomo a zero dimensioni
Senza politica resta la biologia
di Carlo Bordoni


Topi in gabbia. Cavie per testare la resistenza alla frustrazione, provocata da una scossa elettrica che paralizza, blocca il movimento, inaridisce il pensiero in un fermo immagine che sopisce la coscienza. È il quadro deprimente di una società disagiata, più disposta a elaborare il lutto che a cercare vie d’uscita. Da quando l’individuo ha perduto la capacità dell’agire politico e si è ripiegato in una soggettività autoreferenziale rivolta a far mostra di sé.
Un’inibizione ad agire su cui indaga Daniele Giglioli ( Stato di minorità , Laterza), tornando alla politica come azione nella polis , il cui protagonista è lo zoon politikon , l’animale politico che opera per il benessere comune.
Giglioli parte da lontano, da Aristotele e Kant, da tre topi in gabbia, ma anche dal Saggio sulla lucidità di José Saramago, vero leitmotiv del suo discorso, assieme ad altri romanzi, in un continuo scambio tra realtà e immaginario che richiama una metodologia sociologica della letteratura.
Perché il saggio di Giglioli è intriso di spirito illuminista. A cominciare dal titolo, quello Stato di minorità da cui Immanuel Kant, in un breve testo del 1784, esorta a uscire per «valersi del proprio intelletto». Sapere aude! Così che il tempo nuovo del secolo dei Lumi rappresenti il passaggio all’età adulta dell’uomo. Eppure, solo due anni dopo la Prussia di Federico Guglielmo aveva un rigurgito di fanatismo religioso e di restrizione della libertà di pensiero, tanto da imporre a Kant il silenzio.
La storia della modernità è segnata da continue fasi di emancipazione e repressione, rivoluzione e controrivoluzione; l’eterna lotta, a detta di Theodor Adorno, tra capitalismo e democrazia.
Ma la condizione attuale si differenzia dal passato per quella che Giglioli definisce l’assenza di agency , d’iniziativa e possibilità di scelta. Una visione pessimista, forse proprio perché generata dall’Illuminismo: lo «stato di minorità» da cui la ragione sembrava averci liberato, incombe nuovamente. Questa volta senza troppe speranze di evolversi verso la maggiore età, per una serie di dispositivi esposti con acutezza, che fanno di questo breve saggio una cassetta degli attrezzi per comprendere il presente.
L’uomo d’oggi ha scarse opportunità di agire politicamente. E senza agency — anche se volta allo sforzo di un esercizio senza potere, dato che politica e potere hanno divorziato da tempo — non ha alcuna possibilità di incidere sulla realtà, né di modificarla. Una condizione paralizzante ben più grave della liquidità indicata da Zygmunt Bauman, poiché non impedisce a chi ha il potere di usarlo contro gli altri.
All’assenza di valori e di punti di riferimento, Giglioli affianca il concetto di «anomia», non tanto assenza del nomos , della legge, quanto minaccioso avvento (attribuito a San Paolo) dell’Anticristo, « o anthropos tès anomìa », l’uomo privo di misura e di senso, la cui esistenza è vana per gli altri. Le conseguenze di questa impasse politica, dove il ruolo dell’umano è ridotto alle pure funzioni metaboliche (secondo una felice definizione di Hannah Arendt), dove è indubbia la responsabilità della spinta al consumismo e alla continua crescita, hanno il sapore di un ritorno all’ordine. Non è un fatto casuale, come siamo portati a ritenere, affranti dalla crisi della modernità e delle sue certezze, convinti di vivere in un «interregnum» di durata temporanea.
Sopportiamo con condiscendenza la servitù volontaria del Tina ( There Is No Alternative ), che nega ogni altra possibilità. Nelle cui finalità si nasconde l’esigenza diffusa — avvertibile negli strati più alti dell’atmosfera di questo pianeta, dove si muovono i flussi finanziari liberati dalle catene della politica — di infliggere un giro di vite alla democrazia. A quell’eccesso di democrazia che il Novecento ha accumulato e che non è più sopportabile alla luce delle nuove esigenze della globalizzazione, perché «troppa democrazia non è compatibile con la governabilità».
All’individuo non è dato di agire, ma di adattarsi a un mondo avvertito come distante, alieno, meno umano. Dove la sovranità, opportunamente spersonalizzata, è stata assunta dai mercati. Da un’economia che si è impadronita del potere, lasciando la politica al suo destino.