mercoledì 20 maggio 2015

Corriere 20.5.15
Peripezie di un nome Dove sono i repubblicani
risponde Sergio Romano

Puntualmente, il Corriere — ma non è il solo — dà notizie circa il progetto berlusconiano di fondare un nuovo partito di destra (da contrapporre al Partito democratico nel nuovo sistema bipartitico che si preannuncia con l’introduzione dell’Italicum) e di chiamarlo Partito repubblicano. Nel dare la notizia dei sogni elettorali berlusconiani, sarebbe corretto avvertire i lettori che un Partito repubblicano italiano già esiste, essendo stato fondato nel 1895 sul retaggio storico, politico e culturale dei movimenti risorgimentali mazziniani, a partire dalla Giovine Italia e dalla Giovine Europa. In circa 180 di storia,il movimento repubblicano italiano — sotto diverse insegne partitiche, ma legate da un unico filone storico, condotto da uomini di grande valore intellettuale e morale — ha dato al Paese e alla Repubblica determinanti contributi di sangue, di idee e di riforme. Nel marzo di quest’anno il Pri ha celebrato il 47° Congresso nazionale, rinnovando i propri organi statutari: Consiglio nazionale, Direzione nazionale e Segreteria nazionale che detiene la proprietà del nome e del simbolo del partito. Il fatto che leggi elettorali incostituzionali abbiano contribuito a pesantemente danneggiare e mettere ai margini il Pri non vuole dire che il suo nome possa essere impunemente utilizzato da chicchessia e tanto meno Berlusconi, il quale, se vuole dare un nuovo nome alla propria macchina elettorale, dovrà dar fondo alla sua fertile fantasia e pensare a qualcosa d’altro.
Aurelio Ciccocioppo

Caro Ciccocioppo,
Comprendo i suoi sentimenti. Il partito repubblicano ha una lunga storia, è stato guidato per molto tempo da una delle personalità più brillanti della democrazia post-fascista (Ugo La Malfa) e, come disse il premier britannico John Major a proposito del suo Paese, «faceva a pugni al di sopra del suo peso». È giusto che vogliate conservare la proprietà del nome e del marchio. Lo fanno anche i proprietari di una testata giornalistica quando la perdita dei lettori li costringe a interromperne la pubblicazione. Ma dubito che il Pri possa sopravvivere, con il ruolo politico dei suoi momenti migliori, al triplice terremoto da cui il panorama politico italiano è stato sconvolto all’inizio degli anni Novanta: la fine della Guerra fredda, la morte delle vecchie ideologie e la stagione giudiziaria di Mani pulite. Aggiungo che, a differenza di altri partiti, il Pri può vantarsi di avere realizzato il suo principale obiettivo storico. Quando celebreremo, fra un anno, il settantesimo anniversario della proclamazione della Repubblica, gli eredi del Pri avranno diritto a un posto in prima fila.
Quanto a Silvio Berlusconi, caro Ciccocioppo, l’ex presidente del Consiglio è stato, sin dall’inizio della sua carriera industriale, un mago del marketing. Ha capito che le vecchie denominazioni dei partiti erano logore e ha aperto l’era dei «brands» ottimisti, entusiasmanti, promettenti, accattivanti: Forza Italia, Casa delle libertà, il Girasole, l’Ulivo, la Margherita, Rifondazione comunista, Italia dei valori, Rosa nel pugno, Fiamma Tricolore. Oggi, quando parla della sua prossima creatura (il Partito repubblicano), Berlusconi non pensa al vostro marchio ma a quello di Richard Nixon, Ronald Reagan, la famiglia Bush. È convinto che i prodotti americani si vendano bene, soprattutto in un Paese dove la terminologia anglo-americana sta soppiantando quella italiana. Sarebbe più facile dargli torto se non fossimo costretti a constatare che la sinistra, per dare un nome al suo partito, ha fatto lo stesso percorso.