martedì 19 maggio 2015

Corriere 19.5.15
Migranti, il rischio che salti tutto
di Fiorenza Sarzanini


Il rischio che salti tutto adesso è più che concreto. La retromarcia di Francia e Spagna sulla distribuzione dei profughi in base alle quote rischia infatti di vanificare l’intesa raggiunta a Bruxelles la scorsa settimana.
Il fronte inizialmente compatto che vedeva Parigi e Madrid al fianco di Roma e Berlino si sta sgretolando. Sul cambio di rotta dei governi pesano le resistenze politiche interne, le paure dei cittadini, l’incertezza sul funzionamento di un sistema di ricollocazione esposto a numerose variabili, a partire dall’instabilità dei Paesi africani e del Medio Oriente.
Nessuno in questi giorni si era illuso di aver trovato una soluzione per governare i flussi migratori. L’Agenda messa a punto dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha molti punti critici, ma è una buona base di partenza per un percorso comune che porti l’Unione europea a condividere un’emergenza che continuerà nei prossimi mesi e, probabilmente, anni. Oltre alle quote di distribuzione, c’è l’obbligo per ogni Paese di rispettare le procedure per l’identificazione e il fotosegnalamento degli stranieri. Ciò comporta investimenti economici e impiego di mezzi e uomini per garantire che tutto sia fatto a regola d’arte.
Proprio perché è l’inizio di un progetto da sviluppare in diverse fasi, deve esserci piena condivisione da parte degli Stati membri, e attuazione in ogni dettaglio per raggiungere — sia pur gradualmente — un risultato positivo e soddisfacente per tutti. Quanto sta accadendo nelle ultime ore è invece il segnale che egoismi e interessi nazionali stanno prevalendo su quelli comuni. Forte è la possibilità che l’Italia, finora in prima linea a gestire l’accoglienza degli stranieri giunti attraversando il Mediterraneo, resti nuovamente da sola.
Il 27 maggio la Commissione dovrebbe rendere noti alcuni dettagli operativi del piano. Una delle ipotesi più accreditate riguarda la fissazione di un tetto numerico sui migranti da distribuire nei vari Stati. C’è chi parla di un massimo di 20 mila persone, chi si spinge a ipotizzare che possano essere 50 mila. Se davvero si sceglierà questa strada, di fatto verrà meno uno dei pilastri dell’accordo faticosamente raggiunto. La divisione in quote rimarrà sulla carta, ma non avrà alcuna utilità reale, non servirà né ad alleggerire la pressione su quegli Stati che sono punto di primo ingresso né a garantire a chi ha diritto all’asilo, perché in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni, di trovare una sistemazione adeguata e una possibilità di futuro.
Le prossime settimane devono servire a comprendere se davvero è possibile attuare l’Agenda così come è stata varata, migliorando alcuni punti ma tenendo fermo l’impianto. Se così non sarà, meglio lasciar perdere. Un compromesso di facciata sarebbe molto peggio che niente. Un finto accordo per salvare la reputazione dei vertici europei non servirebbe a nessuno, né agli Stati membri, né tantomeno ai migranti. Sarebbe la certificazione di un fallimento, l’ennesimo delle politiche comunitarie. Un’eventualità che purtroppo appare sempre più tangibile.