lunedì 18 maggio 2015

Corriere 18.5.15
Le quote di solidarietà che l’Europa tralascia
di Massimo Nava


Ci vuole più coraggio a fuggire dal comunismo o dalla fame? Sono più degni di accoglienza i migranti di pelle chiara o gialla dei neri musulmani ? Sono domande cui l’Europa — o meglio, la coscienza collettiva degli europei — risponde da tempo in modo contraddittorio e scomposto. A giudicare da certe reazioni popolari e da non isolati commenti politici, la risposta è anche inconsciamente affermativa, secondo una percezione dello straniero che sconfina nel razzismo.
L’ipotesi di accordo su quote di profughi e azioni comuni contro i trafficanti trova forti resistenze. Sembrano prevalere paura, incapacità di guardare con consapevolezza ai problemi economici e demografici, vuoto di solidarietà (a parte le parole del Papa e l’impegno di migliaia di soccorritori). Atteggiamenti che condizionano in modo drammatico la ricerca di soluzioni e l’azione dei governi. Dopo il no di Londra, ecco le riserve di Parigi, incline a rafforzare controlli e respingimenti alle proprie frontiere e refrattaria a subire decisioni prese a Bruxelles che non tengano conto degli sforzi già sostenuti. Le argomentazioni sono ovvie, oltre a quella sottintesa: il Front National che soffia sul fuoco. Anche se, ufficialmente, viene ribadito il principio del «diritto d’asilo».
Sul tema immigrazione, l’Europa della moneta unica e della governance politica rafforzata sembra meno coesa e meno consapevole dell’Europa al tempo del Muro di Berlino e della Guerra fredda. La memoria dei nuovi europei e delle nuove classi dirigenti sembra indifferente alla storia recente. È triste constatare una regressione collettiva proprio in Paesi tradizionalmente di forte accoglienza. Basterebbe ricordare la nave ospedale Île de la lumière , spedita nel Sudest asiatico per soccorrere migliaia di profughi in fuga dalle purghe del regime di Hanoi. Una nave francese, voluta da intellettuali e artisti come Jean Paul Sartre, André Glucksmann, Bernard Kouchner e Yves Montand, promotori di un’eccezionale mobilitazione di opinione pubblica sul dramma dei vietnamiti che fuggivano, annegavano, cadevano vittime dei pirati come oggi i disperati africani. Eravamo alla fine degli Anni 70, le bandiere del Vietnam erano macchiate di vergogna e repressione. È cambiato solo il nome del mare di morte o sono cambiati i nostri sentimenti? La risposta è nel milione di boat people che furono accolti in Occidente. Divennero impiegati, tecnici, ristoratori, ingegneri, dirigenti.
Basterebbe ricordare, 10 anni dopo, la grande fuga di tedeschi dell’Est, ungheresi, polacchi, cechi, albanesi, yugoslavi. Prima e dopo la caduta del Muro, cercarono in Europa libertà, democrazia, benessere. Trovano la solidarietà di tutti, le braccia aperte di molti, l’accoglienza capillare e organizzata della Germania che su questo gigantesco esodo gettò le basi della riunificazione del Paese, dell’attuale potenza economica, della sua crescita demografica. Una Germania che ha capitalizzato le migrazioni e ha integrato nel suo sistema industriale tanti frammenti della Mitteleuropa, tenendosi il più possibile al riparo dai problemi del Sud europeo. Anche per i tedeschi, la memoria della storia agisce a corrente alternata. Meglio avvicinare il Danubio al Reno, che il Maghreb e il Peloponneso alla Baviera.
È comprensibile che nessuno voglia o possa farsi carico di tutta la miseria del mondo, ma è triste che siano le maggiori democrazie europee a ricostruire muri e confini, abbattuti con la forza degli ideali. Ed è disonesto e miope non prendere coscienza della realtà. Il numero di migranti in arrivo nei prossimi anni è stimato in centinaia di migliaia. E non li fermeranno i droni o le quote. La percentuale di stranieri in Europa è molto più bassa che negli Usa. L’Ue è l’area più ricca del mondo, ma anche quella con una popolazione sempre più anziana e meno numerosa. Nonostante isterie e paure d’invasione, milioni di posti di lavoro nei servizi restano vacanti. Se non riscopriamo la solidarietà, dovremmo almeno cominciare ad essere, in modo intelligente, egoisti. Cioè pensare sul serio al nostro futuro .