lunedì 18 maggio 2015

Corriere 18.5.15
Il sogno del 6 a 1, la paura del 4 a 3 E Renzi si lancia nello sprint finale
Il segretario pd farà altre incursioni in Campania e Liguria: ma nessuno fa i miracoli
di Marco Galluzzo


ROMA «Il partito gode di ottima salute, nei sondaggi siamo poco sotto le percentuali delle Europee, un risultato che dopo un anno di governo può anche essere considerato invidiabile».
Matteo Renzi è discretamente tranquillo. I numeri che il suo partito ha commissionato ai sondaggisti, in questi giorni, per di più nelle ore in cui la protesta contro la riforma della scuola erano quasi all’apice, dicono che i dem possono affrontare le Regionali di fine mese con una buona dose di fiducia. Certo, ci sono le liste civiche, i candidati locali e la storia singola di ogni territorio, un base storica in subbuglio, ma se il Veneto è dato per perso, il sogno di un 6 a 1 non è sfumato, per quanto Liguria e Campania possano riservare sorprese.
Uno dei messaggi che probabilmente Renzi cercherà di far passare, nei prossimi giorni, è che la vera battaglia è fra il suo Partito democratico di governo, che sta cambiando il Paese, che sta portando avanti le riforme, e il centrodestra di Giovanni Toti e Silvio Berlusconi: non ci sono altri voti utili, almeno nella speranza di chi proverà a convincere gli elettori che le altre opzioni, da Matteo Salvini a Beppe Grillo, sono in sostanza voti persi. Servono forse a riempire le piazze, ma non a coltivare aspirazioni reali di governo del territorio.
Renzi nelle prossime due settimane farà delle «incursioni» elettorali in varie città, andrà certamente in Campania, in Liguria, ma al momento non esiste un’agenda precisa e definita e la ragione la spiegano a Palazzo Chigi in questo modo: il modello con cui il presidente del Consiglio si avvicina al test elettorale locale è lo stesso delle Europee, cercare di dimostrare che «serietà e affidabilità» di governo, dimostrate in questi mesi alla guida del Paese, sono carte elettorali sufficienti per un messaggio valido anche nelle Regioni. Né più né meno di questo. E tutto ciò nonostante il test di fine maggio, con la scia di polemiche interne al partito, soprattutto in Liguria, sia ovviamente molto diverso da uno scenario elettorale nazionale.
«Si vota in sette regioni ed è u n passaggio decisivo per il governo. In Liguria la scelta deve essere netta tra noi, con Raffaella Paita presidente, e la destra con Giovanni Toti, tutto il resto è noia» ha detto ieri il presidente del partito, Matteo Orfini, confermando lo schema di un voto utile che ha solo due opzioni. Debora Serracchiani, numero due del partito, ha ribadito che «dare indicazione di voto per Pastorino significa aprire alla possibilità che la Liguria finisca nelle mani della Lega e di Forza Italia» o comunque consegnare una vittoria di Pirro al Pd, che se non superasse il 35%, pur vincendo sarebbe costretto ad accordi proprio con Toti, per avere una solida maggioranza in Consiglio regionale .
«Uno che guida il Paese non può avere paura delle elezioni» ha detto ieri Renzi, aggiungendo che è meglio non fare pronostici, visto che lui vorrebbe vincere «dappertutto, anche se non è facile: ma il Pd ci ha preso gusto a vincere, ci proviamo, anche se nessuno fa i miracoli». E se alla fine un risultato non improbabile potrebbe essere un 4 a 3, scenario che aprirebbe un problema interno al partito e alla sua sinistra, «il miracolo» che alla fine si possa vincere in sei Regioni su sette non è sfumato, almeno «visto che siamo in vantaggio anche in Campania e Liguria», come dicono al Nazareno, dopo aver consultato i numeri che i sondaggisti hanno sformato negli ultimi giorni.
A quel punto si arriverebbe per la prima volta ad un dato in qualche modo eccezionale: il centrosinistra al governo in tutte le Regioni italiane, tranne Lombardia e Veneto. È il sogno di Renzi, «anche se nessuno fa i miracoli» .