lunedì 18 maggio 2015

Corriere 18.5.15
Un confronto davvero libero sui nuovi diritti civili
di Aldo Cazzullo


L’ Italia è l’unico Paese dell’Occidente a non avere una legge che riconosca le unioni civili. E sulla cittadinanza conserva norme concepite quando era un Paese di emigranti, e non un Paese — anche — di immigrati.
Il richiamo del presidente Sergio Mattarella contro l’omofobia e «ogni discriminazione» è arrivato nel momento opportuno. Sarebbe sbagliato attribuire al presidente parole che non ha detto e intenzioni che non ha manifestato. Il Quirinale non interverrà nella definizione delle nuove regole che il Parlamento è chiamato a scrivere, per sanzionare crimini ma anche per riconoscere diritti.
Ma può avere un ruolo significativo, a maggior ragione perché sul Colle si è insediato un uomo di formazione cattolica; proprio ora che è finita la stagione dei veti di Oltretevere. Questo non significa ovviamente che la Chiesa sia pronta a riconoscere le coppie di fatto. Ma il clima non è più di scontro frontale. E il tempo è propizio per un confronto libero.
In molti, ricordando che le ultime elezioni politiche non hanno dato una maggioranza parlamentare né alla sinistra né alla destra, sostengono che in questa legislatura sia impossibile introdurre nuovi diritti civili. È vero il contrario. Proprio perché non esiste alle Camere un orien-tamento culturale e politico prevalente, questa è la stagione giusta per trovare un minimo comune denominatore, una maggioranza vasta che vada oltre gli schieramenti precostituiti e approvi norme destinate a durare, e non a essere spazzate via nella legislatura successiva. Già lo si è visto sul divorzio breve. Inoltre, le categorie storiche di destra e sinistra, già logore di loro, in questo campo aiutano poco a capire; non a caso il matrimonio omosessuale con diritto di adozione è rimasto in vigore nella Spagna governata dai popolari e nell’Inghilterra conservatrice.
In Italia un simile cambiamento non troverebbe una maggioranza in Parlamento, e probabilmente neppure un ampio consenso nella società. Però la discussione deve essere aperta e rispettosa delle varie culture e sensibilità. Il dissenso non può essere demonizzato. Chi difende le proprie idee non può essere tacciato di omofobia, ma neppure di libertinaggio. È giusto discutere di tutto. Ad esempio le parole di Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono state irrise, ma indicavano una questione su cui è lecito interrogarsi: oggi una coppia omosessuale o una donna sola possono andare all’estero e avere un figlio grazie a ovuli donati (o comprati) e uteri in affitto; ma una coppia omosessuale o una donna sola non possono andare in un orfanotrofio italiano ad adottare un bambino.
La discussione però dura da tempo, e non può essere infinita. Prima della fine della legislatura si dovrà trovare un accordo, diciamo pure un compromesso, parola di cui non si deve avere paura, perché non rappresenta il tradimento di un ideale ma la conquista di un terreno comune; che dovrebbe allargarsi anche al tema cruciale del fine vita. Il governo Renzi fa bene a rivendicare una funzione propulsiva, ma dovrà evitare forzature. Anche a proposito della nuova legge sulla cittadinanza. Oggi il figlio di italiani è italiano anche se non vive e non vivrà mai nel nostro Paese: potrà ad esempio contribuire a decidere come spendere tasse che non paga. Invece il figlio di stranieri nato in Italia non è italiano e non lo diventa per troppo tempo: questo anacronismo genera estraneità e irresponsabilità; è difficile per i nuovi italiani riconoscersi in una comunità di valori da cui si viene esclusi. Siamo un Paese troppo permeabile per introdurre lo ius soli . La fase storica impone rigore e serietà, compenetrazione di diritti e di doveri. Ma è possibile fin da ora legare la cittadinanza al completamento di un ciclo di studi: deve essere la scuola dell’obbligo, oggi troppo spesso evasa anche dai figli di italiani, a trasmettere la lingua e i princìpi — a cominciare dall’uguaglianza tra l’uomo e la donna — conquistati con il travaglio di generazioni, che non vanno dispersi ma diffusi.
È una «grande società» quella che possiamo costruire, in cui nessuno verrà discriminato per i suoi orientamenti sessuali e per il colore della sua pelle. L’occasione è adesso.