Corriere 17.5.15
I leader e le urne del tradimento
Quando il nemico è «in casa»
di Monica Guerzoni
ROMA Nella campagna più folle e sguaiata degli ultimi anni, dominata dal trasformismo e scandita da acrobatici cambi di casacca, torna a svolazzare il fantasma del tradimento. Una categoria che, applicata alla politica in formato digitale, ingloba fuggiaschi e voltagabbana, ingrati e troppo grati, fratelli coltelli e aspiranti presidenti inchiodati—alla—poltrona. D’altronde nei primi due anni di legislatura il pallottoliere del Parlamento ha conteggiato 235 cambi di casacca. Un numero che, proiettato sul territorio, farebbe venire i brividi.
«Questa o quella per me pari sono...», cantava nel Rigoletto il Duca libertino. Aria celeberrima che Gian Mario Spacca ha metaforicamente intonato quando ha deciso di mollare Renzi per accasarsi con Berlusconi. «Nelle Marche, pur di restare sulla seggiola, uno che ha fatto dieci anni con noi si è fatto candidare da Forza Italia — lo ha etichettato il premier — Alla faccia della rottamazione!». E l’aspirante governatore, negando di aver mai posto la questione del terzo mandato: «Renzi non può fingere stupore, visto che con Berlusconi ci ha governato e costruito patti strategici». Tradimento? Macché. Spacca la chiama «intesa dal basso con il corpo sociale di Forza Italia».
È il paradosso di queste Regionali, che vedono i leader dei partiti costretti a battersi nel loro campo più che in quello avversario. Se il vero nemico di Renzi in Liguria non è il berlusconiano Toti ma Pastorino — il civatiano uscito dal Pd per pescare voti nelle acque della renziana Paita — il nemico numero uno di Berlusconi in Puglia non è il «dem» Emiliano, quanto l’azzurro Fitto. È contro il «lidericchio» dei ribelli azzurri che l’ex Cavaliere va perdendo la voce, in un crescendo di accuse melodrammatiche che rendono sempre più evidente la crisi della sua leadership: «Uno che vota contro il partito che lo ha eletto è un tra-di-to-re!».
Un tempo in campagna elettorale i partiti difendevano la linea della fedeltà come una falange macedone, oggi invece anche quella trincea si sta sfaldando. Persino un dominus assoluto, qual è il capo del Pd, si trova a dover difendere il Nazareno dal fuoco amico, durante una campagna cruciale.
Marco Follini, che gli anatemi di Berlusconi li subì sulla sua pelle, non trova precedenti storici a un tale sfarinamento dei partiti: «Per contrappasso, l’eccesso di accentramento nelle mani del leader moltiplica i focolai di ribellione». Nel guado tra il responso delle Regionali e l’entrata in vigore dell’Italicum il sistema sembra impazzito. In Veneto la scissione di Tosi dalla Lega, in Campania i cosentiniani che fanno la fila per salire sul carro di Renzi... Mentre ad Alfano, che «tradì» Berlusconi, tocca chiudere un occhio (e l’altro pure) per non vedere i suoi che trescano col Pd. Renzi intanto rischia di perdere altre pecorelle e prova a chiudere il recinto tuonando contro la «sinistra masochista». La Paita ha paragonato Civati all’indipendentista britannico Nigel Farage? Pippo ci ride su: «Bisogna chiedersi chi ha iniziato a tradire... Potrei usare la stessa categoria, ricordando che è stato Renzi a tradire il programma e il centrosinistra». Poi la frecciatina contro gli ex amici di Sel capeggiati da Gennaro Migliore: «Ma sì, diciamo che i traditori migliori stanno tutti con Renzi». Anche Pastorino ribalta l’accusa: «Dice che i masochisti siamo noi, non chi si è alleato con gli scajoliani a Imperia e con certi personaggi in Campania...».
Benvenuti al Sud. Dove, a 87 anni suonati, Ciriaco De Mita consegna al Guinness dei primati un agilissimo salto della quaglia, rompendo con il centrodestra di Caldoro e posizionando l’Udc al fianco di De Luca. Sì, proprio quel De Luca che lo aveva definito «male assoluto».