venerdì 15 maggio 2015

Corriere 15.5.15
La strategia incompresa del presidente Obama
di Massimo Gaggi


I «pontieri» al lavoro in Congresso stanno superando il recente stallo sulla concessione al presidente della «corsia preferenziale» necessaria per chiudere i trattati di libero scambio: il Tpp con i partner asiatici degli Stati Uniti e, più in là, il Ttip con i Paesi dell’Unione europea. La strada, però, è ancora lunga (il difficile verrà alla Camera) e lo strappo a sinistra tra Obama e i liberal del suo partito è molto profondo. Il leader democratico ha usato contro gli oppositori interni un linguaggio durissimo, come raramente (qualcuno dice mai) ha fatto coi repubblicani. Quando Elizabeth Warren ha attaccato, giudicando il free trade un regalo alle imprese e un modo per ridurre i controlli su Wall Street, un Obama furente ha replicato che la senatrice dice cose assolutamente false: si comporta come un «politico qualunque» che trasforma le sue fantasiose ipotesi in fatti.
   Parole assai aspre perché, spiegano alla Casa Bianca, Obama è offeso dall’opposizione preconcetta di molti della sua parte politica ai trattati così come anni fa era offeso dall’opposizione preconcetta dei repubblicani alla sua riforma sanitaria. Ma non si tratta solo di orgoglio ferito. Nella strategia del presidente i trattati con l’area del Pacifico e con la Ue sono molto più che accordi per «oliare» il business e creare un po’ di posti di lavoro: sono il cuore della nuova politica estera americana, l’architrave di una leadership (o influenza) Usa diversa, destinata a basarsi sempre meno sulla presenza militare nel mondo e sempre più sulla capacità di promuovere attività e legami economici. Dovrebbe rifletterci su anche l’Europa che sembra preoccuparsi solo della diffusione degli Ogm.
   C’è un cambio di passo di Obama che non è stato capito: i sindacati e il sindaco di New York, de Blasio, sempre più ansioso di presentarsi come capofila della sinistra radicale, continuano a demonizzare i trattati e i Paesi, come Giappone e Malesia, che dovrebbero firmarli. Ma per il presidente l’alleanza commerciale servirà anche a contenere e delimitare l’influenza della Cina in Estremo Oriente: Giappone e Malesia sono pedine essenziali di questo disegno. Ma rinvii e battaglie al Congresso stanno irritando i partner asiatici di Washington mentre Pechino approfitta di questo vuoto per reclutare vari alleati degli Usa — Corea del Sud, Germania , Gran Bretagna e anche l’Italia — nella sua banca per le Infrastrutture: lo strumento, osteggiato dall’America, col quale la leadership cinese vuole dare centralità internazionale al grande Paese asiatico.