Repubblica 2.4.15
Le nuove caselle dell’esecutivo prove tecniche di partito unico
Si prefigura uno scenario senza coalizioni e il premier forma il governo senza condizionamenti
di Stefano Folli
INSEGNA
qualcosa il mini-rimpasto che si conclude con il ministero delle
Infrastrutture (ex Lupi) affidato a Delrio e l’ingresso nell’esecutivo
di Dorina Bianchi, Ncd, a cui dovrebbe andare la responsabilità degli
Affari Regionali. È una piccola finestra aperta sul futuro, quando i
governi saranno «monocolori», ossia espressione del partito vincitore
delle elezioni e come tale beneficiario del premio di maggioranza. Si
tratta di un futuro abbastanza vicino, se come tutto lascia prevedere
l’Italicum sarà legge della Repubblica fra qualche settimana. Certo, si
dovrà attendere l’inizio della nuova legislatura, ma chissà se l’attuale
Parlamento durerà realmente fino alla sua scadenza naturale, nel 2018.
In ogni caso il piccolo rimpasto determinato dalle dimissioni di Lupi
costituisce un’interessante anteprima del nuovo stile politico
incoraggiato, anzi reso necessario dalla riforma elettorale.
Il
partito di Alfano ha dovuto prima rinunciare a conservare il ministero
delle Infrastrutture. In secondo luogo ha dovuto accettare che sulla
poltrona che fu di Lupi sieda non solo un esponente del Pd, ma più
propriamente una figura di prestigio del cosiddetto «partito di Renzi».
Delrio è persona capace e stimata da tutti, ma è significativo che il
presidente del Consiglio abbia prima tolto il ministero ai centristi, di
fatto ridimensionandoli, poi abbia evitato di darlo alla minoranza del
suo partito. Qualcuno pensava infatti che questa sarebbe stata la scelta
più appropriata: usare un importante dicastero per spaccare il fronte
del dissenso interno, isolando la componente più dura e intransigente.
In
realtà il premier aveva capito prima di altri che la sinistra
bersaniana è già di suo lacerata e non rappresenta un vero pericolo. Lo
si vede anche nel modo — quasi un parricidio — con cui è stata accolta
all’interno della corrente l’intervista di Bersani a «Repubblica». In
sostanza Renzi non ha bisogno di tutelarsi pagando alla minoranza un
prezzo alto in termini di potere, quale sarebbe il ministero di Lupi. La
scelta è avvenuta nel recinto del «partito del premier», come è nelle
prerogative di Palazzo Chigi: ma ciò non sarebbe accaduto se la
minoranza del Pd, o a maggior ragione il partito centrista di Alfano,
fosse stato in grado di condizionare il presidente dl Consiglio.
Ne
deriva che l’Ncd deve accontentarsi del ministero degli Affari
Regionali, oltretutto affidato a Dorina Bianchi: una candidata
sostenuta, per non dire imposta, da Renzi che aveva chiesto al partito
alleato il nome di una donna, così da rispettare la parità di genere. Si
tratta di un caso forse senza precedenti: un premier che interviene con
successo anche sul sesso del ministro, orientando la scelta del partner
di governo.
Si capisce allora che il centrista Quagliariello
affermi: «Noi non siamo al governo per riempire delle caselle». L’intera
vicenda cominciata con le disavventure di Lupi e chiusa con l’esito del
rimpastino dimostra infatti che il peso politico del partito centrista
si va riducendo in modo drastico. E Renzi non è certo il tipo da fare
sconti o chiudere un occhio. Lo stesso vale, come abbiamo visto, per la
minoranza del Pd. Se l’esecutivo oggi è ancora una coalizione, lo è in
una forma asimmetrica e sempre più squilibrata a vantaggio del
presidente del Consiglio. Con ciò prefigurando lo scenario della
prossima legislatura, quando le coalizioni saranno solo un ricordo e il
premier eletto potrà comporre il mosaico del governo senza residui
condizionamenti.
Non siamo ancora a quel punto, s’intende, e
infatti Renzi deve mantenere una certa cautela. Nonostante la debolezza
dei suoi interlocutori, un incidente di percorso è sempre possibile. E
poi resta da sistemare la casella del sottosegretario alla presidenza
del Consiglio, il delicato ruolo che era di Delrio. Ed è più complicato
che riassettare i ministeri, dal momento che investe gli equilibri
all’interno del mondo «renziano ». La nuova dimensione della dialettica
politica.