giovedì 2 aprile 2015

il Fatto 2.4.15
Faide di Palazzo
Renzi rischia grosso. Le 11 mine in commissione
Italicum, trincea per 11 bersaniani
Rimpasto, guerra tra i renziani
di Paola Zanca


I renziani lo hanno liquidato con ritornelli piuttosto banali: per Andrea Marcucci è uno carico di “risentimento”, per Antonello Giacomelli somiglia a un “comunista anni 50”. Ma Pier Luigi Bersani, questa volta, dalla sua ha una carta difficilmente aggirabile: i numeri. Sono quelli della commissione Affari costituzionali, la sede dove la settimana prossima ricomincerà il cammino dell’Italicum. Lì, gli oppositori della legge elettorale così come la vuole Renzi, rischiano di essere di più di quelli pronti a sostenerla. Il conto è presto fatto: sulla linea di Bersani ci sono Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Barbara Pollastrini, Andrea Giorgis, Roberta Agostini, Marilena Fabbri e Enzo Lattuca. E della partita, se non altro su alcuni emendamenti, potrebbero essere anche Giuseppe Lauri-cella e Marco Meloni. Questi 11 voti, sommati a quelli degli altri partiti che chiedono, anche per la loro sopravvivenza, modifiche alla bozza di legge elettorale potrebbero facilmente arrivare a quota 25, quella che in commissione consente di approvare emendamenti e ritocchi.
RENZI, COME NOTO, non li vuole nemmeno sentire nominare. Perché se cambiasse anche solo una virgola, l’Italicum dovrebbe necessariamente tornare al Senato e lui “non si fida”: a Palazzo Madama – dove già ci fu bisogno del “canguro” per far saltare il rischioso voto sugli emendamenti del bersaniano Miguel Gotor – la maggioranza potrebbe non tenere. Così, la settimana scorsa, ha ribadito in direzione il concetto: avanti tutta. Il massimo che osò fare la minoranza, quel giorno, fu uscire dalla sala del Nazareno. Si volle evitare una conta che – in ogni caso – non avrebbe messo Renzi in alcuna difficoltà. Ma i numeri della commissione Affari costituzionale non sono quelli dell’organismo dirigente del Pd. E forte di quelle pedine, Bersani ha mandato un sereno avvertimento al segretario, stampato nero su bianco su una mezza paginata di Repubblica. Lì, nemmeno troppo tra le righe, gli ha dato del “baluba” che vuole “abolire la rappresentanza” e sogna una “democrazia plebiscitaria”. Poi, gli ha ricordato che semmai gli venisse in mente di mettere la fiducia, dovrebbe tener conto che l’unico precedente fu con la legge truffa del ‘53”.
Dicevamo che i renziani gli danno del vecchio comunista e ricordiamo pure che anche ex affezionati alla Ditta come Matteo Orfini ormai bollano l’analisi di Bersani come “incredibile”. Ma incommissionetiraun’altraaria. E a meno che dal capogruppo Roberto Speranza non arrivi l’ordine di sostituire i commissari, in corsa per un posto da relatore c’è anche Andrea Giorgis. Dice Giorgis, allievo di Gustavo Zagrebelsky, che semmai dovesse avere quel ruolo, lo interpreterà come si deve: “Io faccio il relatore solo se il testo viene rimesso in discussione. Questo irrigidimento è incomprensibile: le parole di Bersani sono quelle di chiunque non voglia vedere il Parlamento ridotto a un passacarte”. Anche a lui ha dato parecchio fastidio quel “non mi fido” pronunciato da Renzi. Anche perchè, finora, alla minoranza Pd tutto si può rimproverare tranne gli sgambetti: se mai, si dirà, hanno abbaiato parecchio e morso mai. “In questi mesi abbiamo ottenuto dei risultati e, comunque, quei voti a favore erano sempre passaggi intermedi. Ora è diverso: se lo votiamo così, l’Italicum non cambia più”.