martedì 28 aprile 2015

Repubblica 28.4.15
Reinhold Messner
“Sull’Everest soccorsi di serie A, la gente è ignorata”
Al campo base hanno sherpa e medici, mentre giù tante persone sotto le macerie e pochi aiuti
intervista di Leonardo Bizzarro


VA BENE la solidarietà da collega, ma Reinhold Messner, il primo scalatore delle quattordici vette più alte della Terra, di fronte al dramma del Nepal è categorico: «La vera emergenza non è sull’Everest, la tragedia si sta vivendo nella valle di Kathmandu e in tutte le altre dove i morti si contano a migliaia. Non possiamo avere un’attenzione di serie A per gli alpinisti, che dovrebbero essere in grado di badare a se stessi, anche se la situazione lassù è molto grave, e una di serie B per la popolazione».
L’alpinista più famoso al mondo sostiene che l’occidente è ancora una volta strabico?
«Mi pare di sì. Al campo base dell’Everest ci sono gli elicotteri. Sarà lunga evacuare tutti gli alpinisti, portarli magari al campo 2 dove la situazione è più sicura — il campo 1 è sotto il tiro di eventuali crolli dalla parete del Lhotse — però lo si può fare. Chi ha perso le tende si può stringere in quelle di altre spedizioni, hanno cibo, carburante per i fornelli. Ci sono almeno cento sherpa che lavorano per loro e che magari quando torneranno a casa non la troveranno più. E poi i medici che possono intervenire nei casi più gravi. Ma più sotto è spaventoso, non ci sono elicotteri e tanto meno medici, né soccorsi. Ci sono migliaia di morti che probabilmente non sono neppure stati trovati. Bisogna muoversi, inviare aiuti. La valle di Langtang è completamente sommersa dal fango, il villaggio non c’è più. Lì anche un gruppo di italiani è stato raggiunto dai massi staccati dal terremoto: sono morti in quattro. E da altre vallate non abbiamo neppure notizie. Potrebbero essere state cancellate. C’è una grande differenza tra 50 morti e cinquemila».
Che cosa c’è da fare in questo momento?
«Il Nepal è uno dei Paesi più poveri del mondo e ha bisogno della nostra solidarietà. I governi europei sono presi probabilmente dai problemi dei profughi e da quelli della Grecia, ma noi privati possiamo e dobbiamo aiutare. Occorre far arrivare dei fondi a chi già sta lavorando con serietà laggiù e sa quali sono le emergenze. Io ho appena fatto un bonifico alla mia organizzazione, la Messner Mountain Foundation, che aiuta le popolazioni dell’Himalaya. C’è la Hillary Foundation, creata dal primo scalatore dell’Everest, che opera soprattutto nel Solo Khumbu. E poi un’altra organizzazione messa in piedi da uno sherpa di cui mi fido molto, Ang Tsering».
Gli alpinisti dovrebbero essere in grado di aiutarsi da soli, diceva. Come lo potranno fare?
«Il problema del campo base è la sua vastità, lo riorganizzeranno in modo che non venga di nuovo distrutto dagli effetti di un nuovo terremoto».
Si è parlato di trecento tende.
«Trecento? Sono ben di più, è grande come una città e l’area si è allargata a dismisura verso il Pumori, da cui si sono staccati seracchi, pietre e valanghe, e verso la spalla dell’Everest. Ha occupato ogni spazio disponibile. Il campo di Hillary del 1953, e il mio, erano in una zona decisamente più sicura, non ci sarebbe successo nulla».
Come si farà a “svuotare” i campi dell’Everest?
«Penso che gli elicotteri porteranno in alto il materiale — corde, scale di alluminio — e poi gli sherpa attrezzeranno la via di discesa non appena le scosse saranno terminate. Prima, il rischio sarebbe troppo alto e scendendo è più facile piazzare il materiale necessario».