sabato 25 aprile 2015

Repubblica 25.4.15
Il contagio di Tsipras
di Federico Fubini


PIÙ volte in questi mesi Pier Carlo Padoan ha cercato di far capire al suo collega Yanis Varoufakis che l’Eurogruppo non è una sala da convegno o un palco da comizio.
È UNO spazio di poche ore durante il quale i 19 ministri finanziari dell’euro, tutti e sempre sotto stress, devono trovare dei compromessi per poi metterli nero su bianco e applicarli una volta tornati a casa.
Con la Grecia di Varoufakis e Alexis Tsipras, per quasi tre mesi e 22 diversi “vertici”, questo non è stato possibile. Potrebbe diventarlo nelle prossime settimane, ma un fallimento che si ripete uguale a se stesso per così tante volte pone almeno due interrogativi di fondo. Il primo riguarda le cause profonde dell’incapacità dei greci di negoziare in questa fase come fa chiunque altro in Europa; ma la seconda questione chiama in causa quello che ieri a Riga il ministro delle Finanze sloveno, Dusan Mramor, ha definito il «piano B» da costruire se davvero si arrivasse al punto di rottura. I due aspetti sono legati, perché l’idea di liberarsi del problema greco semplicemente lasciando che il Paese esca dalla moneta unica rischia di rivelarsi solo l’ennesima illusione europea.
Varoufakis ormai avrà partecipato a quasi una decina di incontri dell’Eurogruppo, ma lo ha sempre fatto come fossero eventi legati al suo blog. A Bruxelles o a Riga ha dato l’impressione di non essere lì per trattare, ma per spiegare agli altri i massimi sistemi. Figlio di un ex combattente comunista della guerra civile poi divenuto grande industriale, economista esperto in giochi d’azzardo, Varoufakis si difende dalle critiche: «Oso parlare di economia nelle riunioni dei ministri dell’economia e questo a qualcuno risulta intollerabile».
La sua è una versione di comodo che elude la realtà, perché nei momenti decisivi Varoufakis è come paralizzato. Non può prendere impegni, e un corto circuito del genere segnala un problema più profondo della sua semplice originalità di carattere: il governo di Atene sta inviando all’Eurogruppo, la sede istituzionale da cui dipende il futuro della Grecia, una persona senza mandato a trattare. Tsipras non ha costruito una struttura in grado di lavorare con il resto d’Europa, e la sua omissione non può essere solo frutto di ottusità: il premier aveva sperato di poter semplicemente forzare la mano agli altri leader brandendo come una cintura esplosiva la prospettiva del default e della secessione dall’euro. Il vertice di ieri dice che non ha funzionato. Era una strategia ad alto rischio dall’inizio, ma era la sola che Tsipras ha pensato di poter seguire sapendo che la sua maggioranza andrebbe in pezzi se le si chiedesse di accettare un compromesso con Bruxelles. Scriveva qualche giorno fa il quotidiano di Atene Kathimerini: «È evidente che un numero notevole di ministri, parlamentari e uomini di partito fanno tutto ciò che è in loro potere per sabotare qualunque svolta verso il realismo e per far deragliare il Paese dal cammino europeo. Nessuno è in grado di controllare gli elementi estremisti della coalizione».
Tsipras senz’altro non lo è. Gli estremisti nel gruppo parlamentare di Syriza, il cartello della sinistra radicale al governo, sono circa il 20% ma sono al 40% nel comitato centrale del partito; l’alleato di estrema destra Anel è poi, se possibile, anche più antieuropeo. È dunque facile prevedere che la Grecia vada verso un complesso passaggio politico nei prossimi mesi e che i cittadini saranno probabilmente chiamati alle urne in ogni caso. Se Tsipras decidesse all’ultimo di formare un accordo con l’area euro per evitare il collasso del Paese, dovrebbe sottoporlo a un referendum o a nuove elezioni per ottenere un nuovo mandato e tacitare così i fanatici della sua stessa maggioranza. Se invece il premier proseguisse sulla strada attuale, il suo potere è comunque minacciato: mancano ormai poche settimane al giorno in cui sarà costretto a imporre vincoli soffocanti al ritiro di contante dalle banche e all’espatrio dei risparmi, o al momento in cui dovrà pagare pensioni e stipendi con cambiali di dubbio valore. La società greca sprofonderebbe nel caos, scenderebbe in piazza e nuove elezioni sarebbero la risposta più ovvia.
È tragico dirlo, ma quest’ultimo scenario oggi è la speranza di molti negoziatori europei: una crisi sociale e politica che cambi il governo ad Atene. I protagonisti del resto dell’area euro farebbero piuttosto meglio a curarsi di ciò su cui hanno responsabilità diretta: se stessi in questa crisi. Il contagio di una caotica, sporca, protratta deriva della Grecia fuori dall’euro può forse essere contenuto nel breve periodo se la Banca centrale europea — come sembra — intensificasse i suoi interventi nei mercati. Ma alla lunga la ferita resterebbe aperta e l’Italia sarebbe fra i Paesi più esposti alle sue radiazioni. Per questo il tempo stringe e serve un disegno concreto che rafforzi le istituzioni dell’area euro per renderle credibili nel lungo periodo: nella Commissione la chiamano già una «mini-unione di bilancio». La Germania sarebbe disposta ad accettarla, se Francia e Italia accettano vincoli più stringenti da parte dell’area euro sulle loro scelte di politica economica. È una prova di maturità per l’Europa. Comunque vada, tra un po’ non sarà più possibile dare alla Grecia sempre la colpa di tutto.