sabato 25 aprile 2015

Repubblica 25.4.15
I democratici tentano l’ultima mediazione
Orfini: “No alla fiducia”
di Annalisa Cuzzocrea


ROMA «Io lavorerò fino alla fine perché non si arrivi al voto di fiducia. Se il Partito democratico si riunisce, sono certo che a prevalere — da parte di tutti — sarà il senso di responsabilità ». Il presidente del Pd Matteo Orfini non crede alla politica come una continua prova di forza. E lo sta dimostrando in queste ore di telefonate e contatti con la minoranza del partito. È tra i tessitori, insieme a Lorenzo Guerini, a Graziano Delrio. Tra coloro che stanno cercando tutte le strade per arrivare a una sintesi con le minoranze del partito, in modo da evitare lo strappo della questione di fiducia sulla legge elettorale. Con tutto quel che comporterebbe dopo: il rischio di una scissione, o di una frattura talmente profonda da rendere difficile il normale proseguimento della legislatura.
In realtà, il voto di fiducia potrebbe arrivare già martedì sulle pregiudiziali di costituzionalità. Una circostanza quasi inedita: gli uffici della Camera sono stati messi al lavoro per cercare i precendenti. Ce ne sono solo due, risalgono agli anni ottanta, e mai su una legge così importante. Ma nel governo e nel Pd c’è chi pensa che ormai sia tardi per qualsiasi mediazione: il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, il vicecapogruppo alla Camera Ettore Rosato (che in questi giorni sta sostituendo il dimissionario Roberto Speranza e che è in pole per prenderne il posto), sono tra coloro che pensano che non si possano correre rischi. Soprattutto perché, su articoli come quello che prevede il premio alla lista, con la parte del Pd più recalcitrante si potrebbero saldare i piccoli partiti, Sel, la Lega, quel che resta di Scelta Civica e parte di Forza Italia.
«Quello sull’ Italicum è già — oggettivamente — un voto di fiducia», spiega Matteo Orfini. «È chiaro che Renzi ha legato il passaggio della legge elettorale alla legislatura ed è per questo che credo debba prevalere la responsabilità di tutti. Chi non è d’accordo su alcuni passaggi di questa legge, anch’io non lo sono, ha fatto una battaglia grazie alla quale si è arrivati a un compromesso. Ora si accetti di rispettare l’esito della discussione». Nonostante tutto, il presidente dei democratici è fiducioso: «Per me la fiducia non va posta, men che meno sulle pregiudiziali di martedì. Vedo nel gruppo segnali positivi, aspettiamo di capire che succede. «.
I segnali sono quelli di un tentativo di dialogo a partire da ciò che il premier ha detto nel colloquio con Repubblica alla vigilia della partenza per gli Stati Uniti: la possibilità di intervenire sul modello del Senato. «Va esplorata fino in fondo questa volontà — dice il bersaniano Davide Zoggia — va enunciata nei luoghi dovuti, in modo da verificare subito se ci siano le condizioni per arrivare in aula più tranquilli». Quello che chiedono, i bersaniani, è che si rinunci al «giochetto delle fiducie»: «Renzi si fidi di noi, non facciamo scherzetti, tanto meno sulle pregiudiziali di costituzionalità». E ricorda: «Abbiamo già votato l’Italicum 1.0, che era molto peggio di questo, a marzo 2014, nonostante non ci piacesse per niente. Abbiamo consentito il passaggio delle riforme costituzionali in un’aula semideserta per via dell’Aventino delle opposizioni. Non ci facciano caricature, non siamo quelli che vogliono sabotare le riforme». E però, «Roberto Speranza con le sue dimissioni da capogruppo ha fatto un gesto politico molto forte. A quel gesto, fatto nel nome della necessità di un bilanciamento dei poteri, il premier e segretario del Pd deve dare una risposta. Invece vedo che c’è chi va avanti come se niente fosse accaduto, parlando già di fare l’assemblea, di eleggere un nuovo capogruppo... ». Quindi si tratta, o si cerca di trattare, ma a una parte della minoranza l’ipotesi di un voto di fiducia già martedì ha fatto venire dei dubbi sulla reale volontà di sanare le ferite: «Se si fa uno sfregio così grande al Parlamento — ragionano tanto in Areadem che tra i cuperliani — l’unica cosa che resta da fare il giorno dopo è sciogliere le Camere e andare a votare. Forse Renzi vuole proprio questo, l’esatto contrario di quello che dice».