Repubblica 22.4.15
Nel sacro Graal della tecnologia una promessa dell’eternità
di Maurizio Ferraris
IN UN romanzo del 1943, Ravage, lo scrittore René Barjavel raccontava di una Francia singolare in cui di colpo, e senza che se ne sapesse il motivo, scompare l’elettricità. Un cambiamento radicale di vita, che in effetti, sia pure sotto le spoglie della fantascienza, raccontava gli oscuramenti e i razionamenti della Parigi occupata dai tedeschi.
Un Ravage dei giorni nostri sarebbe ancora più apocalittico. Non solo i lampioni della ville lumière, ma i computer, gli ascensori, le cellule fotoelettriche e sempre più automobili si bloccherebbero di colpo, e precipiteremmo in un abisso di amnesia perché tutti i nostri archivi digitalizzati sarebbero andati perduti. Senza documenti (in gran parte digitalizzati), senza soldi, senza luce e senza calore, o magari con il caldo soffocante del global warming non mitigato da nessun condizionatore d’aria, mentre le scorte alimentari imputridiscono in celle frigorifere che hanno cessato di raffreddare.
Di fronte a questa utopia negativa oggi si fa avanti una utopia positiva quasi altrettanto potente, quella della pila inesauribile. A Buffalo una imponente statua di Nikola Tesla (1856-1943), guarda le cascate del Niagara, principio di elettricità, e il suo ritratto campeggia sulle banconote serbe da 100 dinari. Quest’uomo ignoto ai più è l’inventore della corrente alternata, importantissima, ma non quanto la pila.
Tutti infatti conoscono Alessandro Volta (1745-1827), e non solo quelli che lo hanno ancora visto sulle banconote da 10mila lire, appunto perché è lo scopritore della pila, ossia di un principio che permette di liberare l’elettricità dai fili, di renderla tascabile e trasportabile.
Un passo in avanti da non sottovalutare, perché se (per esempio) il cellulare ha potuto trasformarsi e trasformarci così tanto è bastato che perdesse la servitù della connessione al filo, ma è rimasto ancora legato a un altro filo, quello del caricabatterie. Parafrasando Rousseau, potremmo dire che il telefonino nasce libero (dai fili della rete telefonica) ma è dovunque in catene (dove per l’appunto le catene sono i fili della rete elettrica). Senza quella schiavitù, il cellulare aumenterebbe esponenzialmente la sua micidiale potenza.
Ma non è solo questione di tecnologia. La pila che non chiede di essere ricaricata è una pila eterna, qualcosa che, più che la pietra filosofale, ricorda il sacro Graal, e possiede un fascino quasi religioso, perché la pila eterna diventerebbe una immagine tangibile della eternità, e magari una promessa vita eterna per i portatori di peacemaker . E quello di un mondo in cui non è necessario mettere in carica le batterie appare come il sogno di un mondo non meno sorprendente di quello in cui venisse meno le leggi di gravità.
Con una singolare caratteristica, però: che questo mondo apparirebbe strano solo per gli uomini moderni, e normalissimo per chi si sia abituato a scrivere con carta e penna alla luce di una lanterna, che è poi quello che hanno conosciuto Kant, Napoleone o Beethoven — uomini modernissimi (Napoleone aveva persino visto la pila di Volta, nel 1801), che sotto l’aspetto della vita quotidiana sono separati da noi da una distanza siderale.