Repubblica 21.4.15
Il bivio del premier e il rischio di perdere voti
Renzi usa un registro nuovo, vuole stroncare i trafficanti di uomini (e mettere all’angolo Salvini)
di Stefano Folli
DI fronte all’ecatombe nel Canale di Sicilia, Matteo Renzi ha usato un registro nuovo. Non tutti l’hanno notato, anche perché lo stesso presidente del Consiglio non è stato del tutto chiaro, ha detto e non detto. Ma stavolta egli non si è limitato al consueto appello all’Europa perché si affianchi all’Italia nell’opera di soccorso: è andato oltre, ponendo il problema di come impedire le partenze e scoraggiare il lucroso commercio dei traghettatori. Si tratta, appunto, di una novità, i cui contorni però sono tutti da esplorare. Una novità che s’intreccia con i contraccolpi della tragedia nella polemica politica interna. Siamo in clima pre-elettorale e, per quanto sia spiacevole, la gestione dell’immigrazione pesa nel sentimento dell’opinione pubblica e quindi nel mercato dei voti. Il leghista Salvini — peraltro lasciato solo da Berlusconi — fa la sua parte con il solito cinismo, eppure dargli dello «sciacallo» potrebbe non essere sufficiente per rintuzzarne gli argomenti. Il premier sembra averlo capito, o forse si limita a recepire e riproporre lo stato d’animo degli europei.
In poche parole, non c’è alcuna possibilità che si torni a «Mare Nostrum», l’operazione meritoria sotto il profilo umanitario che l’Italia ha retto a lungo da sola, sul piano organizzativo non meno che economico. Oggi, o meglio domani, se un aiuto verrà dall’Unione, superando per una volta il muro dell’indifferenza, sarà diretto a tagliare le rotte dei trafficanti, a distruggere i barconi (dopo averli individuati nei porti di partenza), a impedire all’origine il flusso dei disperati.
È un obiettivo carico di incognite, con enormi rischi e ricadute anche morali da non trascurare. Tuttavia rappresenta un salto di qualità rispetto al recente passato e come tale pone a tutti, e in particolare all’Italia, una serie di interrogativi di natura politica. E si capisce perché: per la prima volta si affaccia l’uso dello strumento militare. Non sarà un blocco navale, almeno non in via ufficiale, tanto meno potrà essere un’invasione della Libia, sia pure circoscritta alla fascia costiera. Ma potrebbe trattarsi di una serie di interventi mirati a distruggere i barconi, rendendo troppo oneroso per i trafficanti organizzare le spedizioni verso l’Italia.
S’intende che il risvolto di una simile decisione, se sarà messa in pratica dai responsabili dell’Unione, si tradurrà in un vantaggio per l’Italia, allentando l’enorme pressione che grava sul governo. E tuttavia il prezzo da pagare non sarà indifferente. Le decine di migliaia di persone che si affollano sulle coste libiche in attesa di partire fuggono dalla guerra e molti di loro sono profughi che hanno diritto di chiedere asilo politico. Respingerli, significa il più delle volte consegnarli a un destino drammatico. D’altra parte, farli partire e poi soccorrerli in mare con mezzi inadeguati equivale a moltiplicare i lutti. E soprattutto — bisogna ammetterlo — per le forze di governo significa mettere a rischio il proprio consenso nel paese, apparendo impotenti e attoniti di fronte a un esodo epocale. Ecco allora che si cerca di correre ai ripari.
L’aspetto umanitario, legato all’accoglienza delle persone in fuga, scivola in secondo piano. L’accento viene posto sull’esigenza etica di stroncare i «trafficanti di uomini», i «moderni schiavisti». Ma è chiara invece la volontà di frenare l’esodo, lasciando sul suolo libico quanti più profughi sarà possibile: in attesa che gli sforzi diplomatici dell’Onu ottengano il risultato, chissà quando e come, di ricostituire un minimo di equilibrio statuale nella terra che fu di Gheddafi. Nelle ultime ore, in sostanza, il premier Renzi sembra aver abbracciato una linea più intransigente, in sintonia con Bruxelles. Ne deriva che sul piano della speculazione elettorale il «lepenista» Salvini potrebbe trovarsi in qualche difficoltà. Ed è singolare, ma forse non troppo, che l’alleato Berlusconi lo abbia piantato in asso, avendo riscoperto una vocazione alla solidarietà nazionale. Come se, in fondo a tutto, il capo di Forza Italia, o di quel che ne resta, avesse nostalgia del vecchio patto del Nazareno.