Repubblica 20.4.15
Se Eraclito se ne andasse a spasso per le Ande
Perché una valle cilena fa pensare al filosofo antico e al riscaldamento globale
di Ariel Dorfman
Ora è dimostrato che non potremo mai più bagnarci nello stesso fiume
Quello che abbiamo trovato non era più la grande cascata di un tempo
RECENTEMENTE ho avuto modo di confermare, con prova triste e inoppugnabile, che Eraclito aveva ragione quando scriveva che è impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume. Non credo naturalmente che il filosofo presocratico, quando scrisse questa frase sul flusso implacabile del tempo, duemilacinquecento anni fa, avesse in mente la distruzione ecologica del pianeta, l’abisso verso cui ci stanno portando l’avidità e l’incapacità di affrontare con coraggio la sfida del riscaldamento globale. Mi è capitato di pensare a Eraclito di recente, nel pieno della calura dell’estate cilena. Fra le tante bellezze naturali che si possono trovare intorno a Santiago, sono sempre stato particolarmente attratto dal Cajón del Maipo, una stretta vallata con gole spettacolari scavate dal fiume Maipo nell’arco di milioni di anni.
Uno dei posti più straordinari di questo canyon è una cascata chiamata Cascada de las Ánimas. L’hanno battezzata così più di un secolo fa gli arrieros, i mulattieri che dopo aver attraversato le montagne con il loro bestiame si fermavano qui per bere e ritemprarsi dalla fatica, e sostenevano di aver intravisto due fanciulle semitrasparenti danzare dietro il getto d’acqua, e intorno tanti duendes (folletti dispettosi) che saltellavano e schiamazzavano.
Più di quarant’anni fa, quand’eravamo giovani, io e Angélica, mia moglie, partivamo per farci delle camminate fino alle pendici più basse delle Ande, e in un’occasione riuscimmo ad arrampicarci per centinaia di metri fino alla cascata. Non vedendo in giro nessun essere umano, né tantomeno le fanciulle o i folletti della leggenda, decisi seduta stante di rinfrescare il corpo tuffandomi in quelle acque gelide e cristalline portate a valle dalle nevi montane. Angélica, che è sempre stata più prudente, si limitò ad assaporare l’acqua prendendola con le mani.
Alcuni giorni fa siamo ritornati nel Cajón del Maipo, e io, preso dalla nostalgia, ho deciso di rifare la camminata fino a quella cascata magica. Angélica ha dato forfait, ma mi ha accompagnato mio cognato, Pedro Sánchez, che aveva visitato le cascate qualche anno prima e diceva che erano ancora un posto incantevole. Solo che non era più possibile avventurarsi per quelle montagne liberamente come un tempo: la cascata ora si trova all’interno di una riserva ambientale e l’unico modo per vederla era organizzare un’escursione guidata rivolgendosi a un albergo lì vicino.
Anche se l’esperienza di salire per quei sentieri con qualcuno che ti spiega in continuazione il paesaggio, insieme a una serie di altre famiglie con bambini chiassosi al seguito, non coincideva granché con il contesto solitario del mio ricordo, il panorama era ancora magnifico, pieno di alberi e cespugli autoctoni, ricco di vita animale. E c’era sempre l’aspettativa della grande cascata al termine della nostra ascesa.
Ma quello che abbiamo trovato non assomigliava affatto alla grande cascata di un tempo. Un rivoletto d’acqua scendeva giù nello stesso bacino cavernoso e pieno di rocce dei miei ricordi, creando una pozzetta dove l’acqua arrivava al massimo alle ginocchia. Nuotare nella pozza in ogni caso era proibito, perché i turisti si erano tutti strofinati la pelle con creme e lozioni solari e avrebbero rischiato di contaminare la purezza della fonte.
Mio cognato era stupito che in pochi anni il livello dell’acqua potesse essere calato a tal punto. Altri membri della comitiva, che erano stati alla cascata un decennio prima, hanno espresso lo stesso sconcerto: evidentemente la neve delle Ande non era più così potente o abbondante, ed evaporava prima di avere la possibilità di arrivare alle cascate. Ho potuto misurare di persona, con i miei occhi, l’effetto incontrovertibile che produce il riscaldamento globale sul nostro ambiente.
E le cose peggioreranno ancora. Ben presto il flusso dell’acqua si ridurrà a un filo sottile che cadrà goccia a goccia dalle rocce sopra la nostra testa, e nel giro di pochi anni la cascata stessa probabilmente non esisterà più. È infestata: non dai duendes o dagli spettri benevoli delle fanciulle, ma da una diga idroelettrica in costruzione più a monte per placare l’insaziabile fame di energia della popolazione e dell’industria cilene. Le proteste degli attivisti e degli abitanti del Cajón del Maipo non sono riuscite a fermare questa minaccia.
A rendere inarrestabile il progetto di centrale idroelettrica ha contribuito il fatto che il consorzio che lo sostiene è controllato in parte dal Grupo Luksic, il più grande gruppo industriale cileno. Il Grupo Luksic ha prosperato e si è espanso senza freni grazie alle sfrenate politiche neoliberiste messe in atto sotto la dittatura di Pinochet, tra il 1973 e il 1990, e ha proseguito nella sua crescita tentacolare anche sotto i governi democratici che si sono succeduti.
Eraclito di Efeso aveva due soprannomi. Alcuni lo chiamavano l’Oscuro, perché i suoi scritti erano pieni di contraddizioni (come il flusso dei fiumi), altri lo chiamavano il Piangente, perché si dice che singhiozzasse senza freni mentre meditava sullo stato del mondo e la morte incessante. Mentre guardavo la Cascada de las Ánimas ridotta allo stremo, mi sono venuti in mente tutti e due i soprannomi del filosofo: io e Pedro ci stavamo godendo una splendida giornata di sole, che faceva risplendere le montagne e le lucertole, ma su quel luogo incombeva l’oscurità, ombre cupe che presagivano un futuro per la nostra specie dove non tutto sarà luce e bellezza. Ed Eraclito, che una diga idroelettrica di sicuro non l’aveva mai immaginata, e non aveva mai immaginato neanche le grandi corporation avide e aride, o un pianeta in marcia verso una nuova estinzione, se risorgesse piangerebbe una cascata, un oceano, un diluvio di lacrime, costretto a riconoscere, in un mondo che non poteva immaginare, che non potremo mai più bagnarci nello stesso fiume. © Ariel Dorfman, 2-015 ( Traduzione di Fabio Galimberti)