giovedì 16 aprile 2015

Repubblica 16.4.15
Iperconnessi ma così fragili che fatica diventare grandi
di Chiara Saraceno


SARANNO senz’altro nativi digitali sempre connessi, ma i ragazzini della generazione Z sono cresciuti affascinati dai fantasy tecno-medievali di Harry Potter e, soprattutto se maschi, hanno nel maldestro undicenne Greg della serie Diario di una Schiappa uno dei loro eroi in cui possono identificarsi (come i loro nonni con Giamburrasca), non solo i calciatori della squadra del cuore. E le bambine, ahimé, nonostante le lotte delle loro nonne femministe contro gli stereotipi di genere, passano dall’identificazione con le principesse a quelle per Violeta, in un tripudio di rosa, fiorellini e trucchi. Mentre la tecnologia avanzava e le nonne e mamme modificavano poco o tanto i ruoli di genere femminile, il mondo dei prodotti e modelli per l’infanzia e l’adolescenza sembra tornato ancora più stereotipico di un tempo, pur nella apparente moltiplicazione degli oggetti. Sono poche le case di giocattoli unisex, o che promuovono attivamente modelli di genere non stereotipati. Gli stessi libri di scuola su questo aspetto scivolano ancora spesso nel piccolo mondo antico.
Veloci nell’apprendere e nell’usare le nuove tecnologie e a farne uno strumento indispensabile di socialità, esposti precocemente alla globalizzazione anche nei suoi aspetti più drammatici — non solo la scuola multi-etnica, ma le guerre e le tragedie che entrano in casa ogni sera dalla tv — spesso costretti a imparare a fare i funamboli in rapporti famigliari resi complessi da composizioni e ricomposizioni, i bambini e ragazzi di questa generazione hanno un percorso ancora più rallentato di quello dei loro genitori (raramente hanno fratelli maggiori) nel raggiungimento della autonomia pratica. Non possono andare e tornare da scuola da soli prima della prima media, pieni di attività extrascolastiche sono accompagnati dovunque, se non dai genitori, da nonni o babysitter. Imparano tardi a muoversi autonomamente nello spazio urbano, a prendere da soli un mezzo pubblico ed anche a gestirsi da soli pezzi di tempo. Da questo punto di vista, nonostante le apparenze, per questa generazione lo scarto tra l’infanzia e l’adolescenza è più forte che nel recente passato. Forse per questo sia i ragazzini sia i loro genitori vi arrivano meno attrezzati, non solo per quanto riguarda l’uso delle nuove tecnologie, ma la negoziazione tra aspettative di autonomia e necessità di regole, tra apprendimento della libertà e mantenimento della responsabilità. Il comportamento un po’ anarchico di molti adolescenti e pre-adolescenti in famiglia, a scuola, negli spazi pubblici, non è solo una fase normale e persino necessaria del passaggio adolescenziale. È anche l’esito di una forte incertezza degli adulti circa il che fare in situazioni in cui essi per primi non si sentono sempre in controllo (o ne negano la capacità e la titolarità ad altri), che si tratti di fronteggiare un fallimento scolastico dei figli, il proprio fallimento coniugale, la perdita del lavoro o anche la presenza di vicini di casa non graditi perché “diversi”.
Ovviamente non si può generalizzare, come troppo spesso fanno le “ricerche sui giovani” o sulle “generazioni”. Fa ancora tanta, persino troppa, differenza che famiglia si ha, con quali risorse economiche, culturali, umane, dove si abita, che insegnanti si hanno. Da questo punto di vista, questa generazione di bambini e adolescenti sta sperimentando una crescita fortissima non solo delle differenze — di etnia, lingua, religioni, modelli famigliari — ma delle disuguaglianze. Non è vero che sono tutti più poveri dei loro fratelli maggiori. La crisi economica di questi anni non ha colpito in modo egualitario. A fronte dei bambini e ragazzi ipertecnologici e iper-occupati in attività extracurriculari sta il milione e mezzo di bambini e adolescenti che oggi si trova in povertà assoluta. Il problema di questi bambini e ragazzi non è il divario digitale che li separa dai genitori e dagli insegnanti, ma quello — non solo digitale, ma di risorse per lo sviluppo cognitivo e per una crescita fisica adeguata — che li separa dai loro coetanei. Se l’insicurezza rispetto a che cosa si farà da grandi, l’incertezza rispetto ad un futuro di cui non si vedono bene i contorni, è una caratteristica del contesto di crescita di questa generazione, per quel milione e mezzo è un fatto duro, sperimentato ogni giorno, che chiude l’idea stessa di futuro, di un orizzonte possibile da scoprire o inventare.