mercoledì 15 aprile 2015

Repubblica 15.4.15
Onu, l’ultimo giallo della Guerra fredda “Ecco chi uccise il leader più amato”
L’aereo di Dag Hammarskjöld precipitò sul Congo nel ’61
Ora le prove che dietro allo schianto ci fu un attentato
di Pietro Veronese


ERA la notte tra il 17 e il 18 settembre 1961. Il rumore dei 4 motori a pistone del DC-6 era calato: l’aereo stava perdendo quota. Il tempo era buono, la mezza luna che andava declinando verso l’orizzonte facilmente visibile. Sotto era buio pesto, come è sempre l’Africa nel pieno della notte, l’illuminazione dell’aeroporto di destinazione per questo ancor più distinguibile. «Vedo le vostre luci, Ndola, scendiamo », comunicò il pilota alla torre di controllo, 10 minuti dopo la mezzanotte.
A bordo, silenzio, tensione. Oltre ai 6 membri d’equipaggio, tutti svedesi, su quel volo c’erano solo 10 passeggeri: il segretario generale delle Nazioni Unite con una manciata di stretti collaboratori. A Ndola, nell’allora Rhodesia del Nord, oggi Zambia, l’aspettava un incontro decisivo con il capo della secessione del Katanga, ricchissima regione mineraria del Congo. La guerra civile infuriava in Congo, ma Moise Ciombe, legato a doppio filo alle compagnie minerarie europee e americane, aveva fatto sapere di essere disposto a negoziare. Il segretario generale vedeva una speranza di pace. Imbarcandosi a Léopoldville, la capitale congolese (oggi Kinshasa), parlando a un suo braccio destro che restava a terra, aveva accennato ancora una volta alla sua grande passione per i mistici medievali: «L’amore, per loro - gli aveva detto - era quel sovrappiù di energia di cui si sentivano ricolmi quando sceglievano di vivere dimenticando se stessi».
Il DC-6 non raggiunse mai Ndola né altri messaggi arrivarono dalla cabina alla torre di controllo. Un poliziotto disse d’aver visto un bagliore nel cielo, ma il direttore dell’aeroporto lo rintuzzò affermando che «gli aerei dei vip non precipitano». Il relitto fu avvistato dopo le tre del pomeriggio del 18, a meno di 15 chilometri dalla pista.
Così morì Dag Hammarskjöld, svedese, il più grande segretario generale che le Nazioni Unite abbiano mai avuto. Un intellettuale, un credente, un asceta, un vero eroe civile, colui che accennando in una lettera all’esplodere dell’ennesima crisi internazionale, aveva scritto: «Qui o si diventa cinici, o si diventa seri». E allo scrittore John Steinbeck aveva così spiegato il suo lavoro: «Sedersi per terra e parlare con le persone. È questa la cosa più importante». Un uomo capace, nel mondo spaccato in due dalla Guerra Fredda, di tenere testa alle grandi potenze nucleari in nome dell’ideale della pace — e di morirne.
Sono passati 54 anni e quella che sembrava destinata a rimanere una nota a piè di pagina nei libri di storia è tornata ad essere di nuovo una notizia. Confermandosi il più grande giallo ancora irrisolto della Guerra Fredda. L’Onu ha deciso di aprire un’inchiesta ufficiale sull’incidente aereo. Ce ne sono state, negli anni, almeno altre due. La prima condotta dalle autorità coloniali britanniche, perché la Rhodesia era, all’epoca, un possedimento di Sua Maestà. Errore del pilota, conclusero nel 1962, senza però addurre alcuna prova. L’altra delle stesse Nazioni Unite, terminata con un verdetto molto più aperto. Non si può escludere nessuna ipotesi, disse la commissione internazionale, ma nemmeno confermarne alcuna, perché mancano le prove.
Fin dall’inizio, si erano rincorse voci ed ipotesi di complotto. Quello che non mancava, infatti, era un movente per uccidere Dag Hammarskjöld. Nessuno ha incarnato meglio di lui, nei 70 anni di vita delle Nazioni Unite, l’ideale di un potere indipendente e sovranazionale, che tenta di imporsi tanto agli staterelli quanto alle grandi potenze. Hammarskjöld non era l’uomo di nessuno, né di una donna, né di un governo. Lo odiavano i sovietici, che orchestrarono una campagna internazionale di calunnie sostenendo che fosse omosessuale (all’epoca un’accusa imperdonabile per un uomo pubblico). Ma nella crisi congolese Dag aveva schierato l’Onu dalla parte del governo legittimo, che era sostenuto dal blocco comunista; ed era perciò odiato dagli sponsor della secessione katanghese: la Cia ed altri servizi segreti occidentali, il Belgio, le compagnie minerarie, i mercenari europei.
Negli ultimi anni ricercatori indipendenti hanno scoperto molte cose. È ormai certo che la Cia e la National Security Agency americane e i servizi britannici possiedono informazioni secretate. Gli americani avevano a Cipro un centro d’ascolto radio che copriva buona parte dello spazio aereo africano e in più, quella notte, due DC-3 parcheggiati sulla pista di Ndola con i motori accesi, evidentemente all’unico scopo di generare energia elettrica e poter ascoltare le comunicazioni radio. Gli americani sanno. C’era un altro aereo in volo sopra Ndola quella notte, a quanto pare. E molti movimenti a terra, avvistati da testimoni. Militari, mercenari, le forze più oscure del morente colonialismo europeo. La nuova inchiesta disporrà di molte informazioni inedite per confermare se il segretario generale delle Nazioni Unite non stesse in realtà scendendo in una trappola. Lui, in ogni caso, era pronto. In una poesia composta nella primavera precedente aveva scritto: «A chi chiede se ho il coraggio/di andare fino alla fine/la mia risposta/è irreversibile ».