Repubblica 14.4.15
Psicologia. Le conseguenze della solitudine. Uno studio di un gruppo di ricercatori dello Utah analizza gli effetti del fenomeno
Rischia chi vive solo ma anche chi, pur avendo una rete di relazioni, non ha nessuno di cui fidarsi e con cui condividere obiettivi
di Francesco Cro
Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale, Viterbo
CHE la solitudine accresca la mortalità, anche più di altri fattori di rischio noti (fumo, dieta scorretta, sedentarietà, abuso di alcol e altre sostanze), è confermato da una recente meta-analisi (analisi dei maggiori studi scientifici sull’argomento) condotta dagli psicologi della Brigham Young University di Provo (Utah). Tale effetto negativo dell’isolamento sociale è presente sia quando questo è obiettivo (vita in solitudine e senza significativi contatti con il prossimo), sia quando il senso di solitudine è vissuto soggettivamente nonostante una rete di relazioni con gli altri. In quest’ultimo caso, l’effetto nocivo della solitudine è maggiore. Una ricerca olandese evidenzia infatti uno stretto legame tra il sentirsi soli e il rischio di sviluppare una demenza di Alzheimer. Alla luce di queste considerazioni, la psicologa Stephanie Cacioppo, del Centro per le neuroscienze cognitive e sociali dell’Università di Chicago, riflette sul significato della solitudine, sottolineando che la mera presenza fisica di altre persone nel nostro spazio quotidiano non è sufficiente per non farci sentire soli: abbiamo bisogno di qualcuno di cui fidarci e con cui condividere uno scopo per dare significato alla vita. Un legame affettivo forte e significativo può farci sentire in compagnia e connessi con il mondo anche quando siamo fisicamente isolati; la stessa situazione sociale può inoltre essere sentita come protettiva e accogliente, o espulsiva e rifiutante, a seconda della predisposizione e delle esperienze individuali.
La solitudine può essere vissuta a tre livelli: personale, per la mancanza di una relazione intima, apportatrice di sostegno emotivo nei momenti di crisi; sociale, per la mancanza di una rete di persone amiche; collettivo, per una dimensione pubblica di abbandono nella quale le persone possono identificarsi.
Ma quali sono i meccanismi neurobiologici con cui la solitudine danneggia la salute? Cacioppo sostiene che il cervello, impegnato continuamente nel formare, mantenere e riparare i legami con gli altri, è l’organo chiave delle connessioni sociali, che attraverso di esso possono esercitare il loro influsso, benefico o nocivo, sull’intero organismo. La rottura di un legame, soprattutto se all’interno di un’importante relazione di coppia, induce un’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene, il sistema dello stress. Questo si traduce nella produzione di ormoni che innescano una serie di reazioni fisiopatologiche, compromettendo la qualità del sonno, la regolazione dell’ansia, della glicemia, della pressione arteriosa e della risposta immunitaria, e predisponendo così allo sviluppo di obesità, di disturbi cardiaci e di problemi vascolari cerebrali. Un gruppo di ricerca coordinato dalla psicologa londinese Ruth Hackett, dell’University College, ha riscontrato una disregolazione della risposta infiammatoria nelle donne sole, testimoniata dall’aumento nel sangue di citochine (proteine che controllano attivazione e migrazione dei globuli bianchi coinvolti nelle reazioni infiammatorie ed immunitarie).
Le conseguenze della solitudine sul tasso di mortalità sono state studiate soprattutto negli anziani; tuttavia anche in altre fasce di età la mancanza di supporto sociale può avere un impatto sfavorevole sulla salute, come rilevato da un altro studio britannico, che ha evidenziato un peggiore decorso dei sintomi in un gruppo di giovani al primo episodio psicotico. I pazienti con maggior senso di solitudine e privi di una persona con cui confidarsi hanno manifestato i livelli più alti di depressione e idee persecutorie. La solitudine può distorcere le percezioni, amplificando la sensazione di minaccia; tende a fossilizzare le modalità abituali di reagire alle difficoltà, non aiutando a sviluppare strategie alternative; ma soprattutto aumenta il livello di ansia delle persone, compromettendo la loro capacità di gestione dello stress. Essere inseriti in una rete di relazioni, e ricevere sostegno dagli altri, è dunque protettivo nei confronti di diverse patologie, sia fisiche che psichiche. Come assistere gli altri, dimostrato da studio di Taiwan su anziani impegnati nel volontariato.
Il riconoscimento dei rischi per la salute associati alla solitudine è, secondo Cacioppo, il primo passo per poter mettere a punto interventi sanitari e sociali volti ad alleviare le conseguenze di questo diffuso disagio emotivo.