martedì 14 aprile 2015


Repubblica 14.4.15
Günter Grass
L’uomo che risvegliò l’Europa suonando un tamburo di latta
Il premio Nobel per la letteratura è morto ieri a Lubecca all’età di 87 anni
Con la sua opera raccontò la Germania e i drammi del Novecento
di Vanna Vannuccini


«VOGLIO essere sepolto insieme a un sacco di noci e con denti nuovi di zecca: se poi c’è gran rumore là dove starò giacendo, si potrà dire: è lui, è sempre lui». Così aveva scritto in una delle sue ultime poesie ( Viatico).
Lui, il Nestbeschmutzer, come ironicamente si autodefiniva, il guastafeste; uno che non aveva mai avuto paura di criticare la patria, il partito, il nucleo di appartenenza. Fino all’ultimo. “Con l’ultimo inchiostro”, che però non si era mai esaurito, aveva criticato l’Europa, e in prima linea la Germania di Angela Merkel, per non aver aiutato la Grecia.
Günter Grass è morto ieri a Lubecca, a 87 anni. Era nato il 16 ottobre 1927 a Danzica, la Città libera prima annessa al Terzo Reich e poi diventata polacca alla fine della guerra.
«Quello che scrivo è dettato dall’amore per il mio Paese e viene letto come lo volessi infangare » disse ricevendo il premio Nobel nel 1999, quarant’anni dopo la pubblicazione del Tamburo di latta . Quel romanzo (tradotto in Italia da Feltrinelli) cambiò lo sguardo dei tedeschi sul loro passato. Uscì nel 1959 ma, già prima della pubblicazione, Grass ne aveva letti alcuni capitoli davanti al Gruppo 47, una formazione letteraria nata per ricercare l’umanità della Germania sotto le macerie della Seconda guerra mondiale: subito si era capito che avrebbe cambiato la letteratura tedesca. Il tamburo di latta era la risposta a tutti coloro che si domandavano perché, dopo le devastazioni e le lacerazioni che avevano segnato la storia di uno tra i popoli più civili del pianeta, non fosse nato un libro che stesse al livello della grande tradizione letteraria tedesca. Ora quel romanzo c’era, seguito poi da Gatto e topo (1961) e Anni di cani ( 1963), gli altri due titoli della “trilogia di Danzica”. Per i tedeschi fu come se qualcuno avesse spaccato improvvisamente un muro e l’aria fosse entrata in una stanza tenuta chiusa da anni. Era come uno specchio in cui i tedeschi si videro riflessi. «Quest’uomo è uno squalo in uno stagno di sardine e il suo libro è un osso duro che darà filo da torcere ai recensori almeno per il prossimo de- cennio», scrisse profeticamente Hans Magnus Enzensberger, anche lui membro del Gruppo 47. Non c’è nessun altro libro che abbia avuto una altrettanto forte presenza nella storia della letteratura tedesca accanto a capolavori come il Werther di Goethe o i Buddenbrook di Thomas Mann. Ma anche lo sguardo del resto del mondo sulla Germania cambiò. Con un colpo solo del suo Tamburo Grass affievolì l’eco di tutte quelle parole che erano rimaste nelle orecchie dei popoli europei dopo gli anni dell’occupazione nazista.
Per Grass il Tamburo di latta era stato anche un’elaborazione del lutto, il modo – scrisse – «di fissare un pezzo di patria perduta per sempre». Laddove patria è stata per lui sempre e solo Heimat, il luogo natio, e non Vaterland, una parola che nessun tedesco secondo lui avrebbe più dovuto pronunciare dopo Auschwitz. Nemmeno nei giorni euforici dell’unificazione, in cui ancora una volta Grass osò andare contro corrente. Per lui la nazione tedesca non era la Germania unita, che gli ispirava sempre sospetto. Era la lingua, la Kulturnation, quella “nazione culturale” che aveva sempre amato e coltivato anche durante la Guerra fredda, mantenendo i contatti con gli scrittori della DDR, nonostante la Stasi e il divieto alla circolazione dei suoi libri.
La Heimat invece era Danzica, città che gli è sempre rimasta fedele e che di recente voleva fargli un monumento – una panchina di bronzo dove lo scrittore avrebbe dovuto sedere accanto al suo Oskar Matzerath. Ma Grass si era ribellato alla proposta e aveva suggerito al sindaco di Danzica di spendere meglio quei soldi facendo i bagni nelle case popolari che ancora ne sono prive.
Una vita tedesca, quella di Grass: attraverso tutte le contraddizioni le cesure e il riconoscimento tardivo (nel 2006, in un’intervista alla Frankfurter Allegemeine ), di un’appartenenza, a 16 anni, alle Waffen SS. Quella rivelazione, raccontata nei dettagli nel memoir Sbucciando la cipolla (Einaudi), fu uno shock per i tedeschi che non avevano mai voluto mettere una pietra sopra il passato e per i quali lo scrittore era un simbolo; e ne gioirono invece tutti coloro che l’avevano sempre detestato come uno di sinistra che infangava la patria. Come tutti i nestbeschmutzer , Grass provocava in Germania amori e odi profondi. Era entrato nella Spd, la socialdemocrazia tedesca, ai tempi di Willy Brandt, di cui condivideva la Ostpolitik – quella politica allora molto controversa di riavvicinamento alla Germania comunista. Dal diario di una lumaca – la lumaca simbolo della mediazione tra utopia e rassegnazione – è il ricordo personale della sua campagna elettorale a fianco di Willy Brandt, al quale metà dei tedeschi rimproveravano l’inginocchiamento nel ghetto di Varsavia. Innamorato della letteratura, lo scrittore ha lavorato fino alla fine al suo ultimo libro: Vonne Endlichkait , dedicato alla sua tipografa, è pronto per essere pubblicato. «Un esperimento letterario» lo ha definito l’editore Gerhard Steidl: «l’autore ha lasciato fondere per la prima volta prosa e testi lirici».
Grass era diviso tra la letteratura d’avanguardia sperimentale europea, che in quegli anni era di moda, e l’impegno politico ma finì per scegliere sempre quest’ultimo. Sempre contro corrente, a parlare dei tedeschi come vittime, anche loro, della guerra. Sempre uguale a se stesso, coerente, una figura pubblica di resistenza e di eroica caparbietà. La sua iconografia con la pipa e i burberi baffi spioventi ne resta la testimonianza.