sabato 11 aprile 2015

Repubblica 11.4.15
Il genio che ci ha insegnato il coraggio di cambiare idea
A sessant’anni dalla morte, la grande eredità dello scienziato è nel metodo. E negli errori
Albert Einstein
di Carlo Rovelli


NON c’è dubbio che Albert Einstein — di cui ricordiamo i sessant’anni dalla morte, e i cent’anni dalla sua teoria della relatività generale — sia stato il più grande scienziato del XX secolo, l’uomo che ha visto più a fondo nella natura, ha intuito più cose che si sono rivelate vere. Questo significa che quello che lui pensava va preso per buono? Che non sbagliava? Tutt’altro. Anzi: pochi scienziati hanno accumulato errori quanto Einstein. Pochi scienziati hanno cambiato idea tante volte quanto lui.
Non parlo degli errori della vita quotidiana, opinabili, e comunque affari suoi. Parlo di veri errori scientifici. Idee sbagliate, predizioni sbagliate, equazioni sbagliate, affermazioni su cui lui stesso è tornato indietro, oppure più tardi smentite dai fatti.
Qualche esempio. Oggi sappiamo che l’Universo è in espansione. Il fisico belga Lemaître lo aveva capito proprio usando la teoria della relatività e lo aveva comunicato ad Einstein. Einstein aveva risposto che l’idea era una sciocchezza. Per poi doversi rimangiare l’affermazione quando negli anni Trenta l’espansione dell’universo è stata osservata.
Oggi sappiamo che esistono i buchi neri. Ce ne sono a milioni solo nella nostra galassia e la loro esistenza è una delle clamorose conseguenze della teoria di Einstein. Ma Einstein non l’aveva capito, e sull’argomento ha scritto lavori sbagliati, sostenendo che cose simili non possono esistere. Anche sull’altra grande conseguenza della sua teoria, l’esistenza delle onde gravitazionali, Einstein si è sbagliato. Ha sostenuto che queste onde non esistono, sbagliando l’interpretazione della sua stessa teoria.
Prima di scrivere l’equazione giusta della teoria della relatività generale, il suo grande trionfo, Einstein ha pubblicato una fitta serie di articoli, tutti sbagliati, ciascuno con un’equazione diversa. È arrivato addirittura a pubblicare un lavoro dettagliato e complesso per dimostrare che la teoria non deve avere la simmetria… mentre sarà proprio la simmetria a caratterizzare la teoria buona. Per tutti gli anni finali della sua vita, poi, Einstein si ostina a voler scrivere una teoria unificata di gravità ed elettromagnetismo, senza capire che, come si vedrà poco dopo, l’elettromagnetismo è solo una componente di qualcosa di più ampio (la teoria elettro-debole) e quindi il progetto di unificarlo con la gravità senza considerare il resto è viziato alla base.
Poi ci sono le perentorie affermazioni che ha disseminato, cambiando idea poco dopo. Nella sua prima versione della teoria della relatività ristretta, la nozione di spaziotempo, cioè l’idea che esista un continuo di quattro dimensioni che comprende sia lo spazio che il tempo, non c’è ancora. L’idea dello “spaziotempo” non è di Einstein, è dovuta a Minkowski, che ha riscritto la teoria di Einstein usando questa idea. Quando Einstein ne viene a conoscenza, dichiara che si tratta di una inutile e sciocca complicazione “da matematici”. Per poi cambiare opinione poco dopo e usare proprio la nozione di spaziotempo come base della sua teoria successiva: la relatività generale. Sul ruolo della matematica in fisica, Einstein cambia ripetutamente idea, sostenendo varie cose in contraddizione l’una con l’altra nel corso della sua vita.
Anche nelle grandi discussioni sulla meccanica quantistica Einstein ha cambiato idea ripetutamente. All’inizio sostiene che la meccanica quantistica è contraddittoria. Poi accetta l’idea che non lo sia, e si limita a insistere che deve essere incompleta, non descrivere tutta la natura. Sulla sua teoria, la relatività generale, a lungo è stato convinto che le equazioni non potessero avere soluzioni in assenza di materia, e quindi il campo gravitazionale dipendesse dalla materia, per poi cambiare idea e descrivere il campo gravitazionale come un’entità reale automa, che esiste di per sé.
Forse il caso più straordinario è uno strabiliante lavoro scritto nel 1917, in cui Einstein fonda la cosmologia moderna, comprende che l’universo può essere una tre-sfera, e introduce la costante cosmologica, la cui esistenza è stata verificata oggi, a un secolo di distanza. In questo lavoro Einstein riesce a sommare un clamoroso errore di fisica — l’idea, sbagliata, che l’universo non possa cambiare nel tempo — e un clamoroso errore di matematica: non si accorge che la soluzione matematica delle equa- zioni che studia è instabile, e quindi non può descrivere l’universo reale. L’articolo è al tempo stesso un insieme strepitoso di idee nuove, rivoluzionarie e corrette, e un insieme clamoroso di errori.
Questa lunga serie di cambiamenti di opinione e di errori toglie qualcosa alla nostra ammirazione per Albert Einstein? No. Al contrario. Ci insegna, credo, qualcosa sull’intelligenza: l’intelligenza non è intestardirsi sulle proprie opinioni. È essere pronti a cambiarle. Essere pronti a esplorare le idee, accettando il rischio di sbagliare. Per capire il mondo bisogna avere il coraggio di provare le idee, e riadattarle continuamente, per farle funzionare al meglio. La forza della scienza è proprio qui: la capacità di produrre idee nuove e di riuscire a chiarire quando un’idea è sbagliata. “Quelli che non sbagliano mai” (ne conosciamo tanti) sono quelli che restano intrappolati in vecchi errori.
Einstein che sbaglia più di tutti e Einstein che capisce a fondo la natura più di chiunque altro non sono in contraddizione, sono due aspetti complementari e necessari della stessa profonda intelligenza: l’audacia del pensiero, il coraggio di rischiare, il non fidarsi delle idee ricevute, neanche delle proprie. Avere il coraggio di sbagliare, e soprattutto aver il coraggio di cambiare idea, non una volta ma ripetutamente, per poter trovare. Per poter, «provando e riprovando», come diceva Galileo, arrivare a capire.
Penso che il grande Einstein, se avesse saputo che per ricordarlo elenchiamo i suoi errori, avrebbe fatto uno di quegli straordinari sorrisi sornioni di cui era capace, e ne sarebbe stato contento. L’importante non è aver ragione. È camminare lungo la strada per arrivare a capire.