venerdì 10 aprile 2015

Repubblica 10.4.15
Un appello a Papa Francesco “Alla mostra sulla preghiera si rischia la rissa fra religioni”
di Marco Ansaldo


CITTÀ DEL VATICANO IL GRIDO di un laico squarcia il velo nel dialogo fra religioni diverse: «Ma quale dialogo? Io ci ho provato.
Altro che ammettere una base comune. Qui tra esponenti di più confessioni c’è chi pensa che la propria sia sempre la migliore». Il laico è Franco La Cecla, antropologo e architetto, viaggiatore instancabile fra culture diverse. Perché lancia questo grido che arriva fino a Papa Francesco? La Cecla è, insieme a Lucetta Scaraffia, l’organizzatore della mostra «Pregare, un’esperienza umana», che si apre domani alla Reggia di Venaria, a Torino. Un’esposizione di 1000 metri quadrati con sale su Induismo, Buddismo, Islam, Ebraismo, Cristianesimo orientale e cattolico. E oggetti provenienti da collezioni pubbliche e private italiane, turche, marocchine, etiopi: soprattutto rosari. Che cosa è successo? Che l’antropologo, coronando un suo sogno («raccontare che quando la gente prega, a qualunque religione appartenga, lo fa in un modo simile») è arrivato alla soglia dell’inaugurazione sfiancato dai confronti per tenere assieme le componenti diverse. Il Marocco ha alimentato l’esibizione con molti oggetti scelti dal re, ma fondamentalmente per ribadire l’unicità dell’Islam. E ha storto il naso per la presenza dei Sufi. L’anima cattolica ha invece ribadito che c’è poco cristianesimo nella mostra e nelle didascalie. Gli ebrei sostengono nella loro ala più estrema che l’ebraismo non va confuso con nessun’altra religione e quindi loro ci saranno perché «bisogna esserci», ma non certo per confrontarsi. Insomma, a sentire solo le tre grandi religioni monoteiste, un bel ginepraio. «Ginepraio», constata La Cecla, «in cui sono consapevole di essermi cacciato. Perché chi crede non sopporta che il proprio pregare sia un anelito universale».
Un’esperienza amara. «Le religioni», continua l’antropologo, «non riescono fino in fondo a “mettersi nei panni” di uno che ha una fede diversa, e non solo nel campo dell’Islam, ma purtroppo in quello cristiano e adesso in quello buddista e induista». Litigato con tutti, ricevute bordate da destra e da sinistra, La Cecla ha scritto a Papa Francesco. «Santità», comincia la sua lettera affidata a Repubblica, «mi permetto di scriverle perché sono impelagato nella preparazione di una mostra sulla preghiera nelle religioni che mi dà sempre più problemi». E continua: «Come sarebbe bello se le religioni oggi ammettessero di avere una base comune, un anelito che spinge la gente nella propria vita quotidiana a cercare Dio o la divinità, il Dio dentro sé stessi e il miglioramento di sé, la lode del creato o la richiesta di aiuto». Infine, anche a Jorge Bergoglio, La Cecla consegna il suo disincanto: «La mostra che faticosamente sto tentando di aprire parlando esclusivamente di preghiera è per questo soggetta a molteplici attacchi, non solo dalle persone con cui collaboro, ma dallo scetticismo di chi guarda ad essa come una “mera utopia” o che se ne vuole servire per ribadire che ci sono religioni migliori di altre». Conclude La Cecla: «La preghiera islamica sarebbe l’unica gradita a Dio, la preghiera ebraica quella vera, la preghiera induista impossibile a chi non fa parte di quella cultura e quella buddista una saggezza da cui i più sono esclusi. È possibile che la sensibilità religiosa sia più fine di quella laica e capace di “consentire” con altri credenti in altre fedi? O siamo condannati a pensare che le religioni siano solo fonte di divisione e di violenza? Per favore, Santo Padre, aiutateci a sperare». Che cosa risponderà Francesco?