Repubblica 10.4.15
I mali dell’Ucraina
di Timothy Garton Ash
BENVENUTI nello Stato nazionale dell’Ucraina” è il saluto di Mustapha Dzhemilev, settantunenne leader dei tartari di Crimea, che dietro i toni pacati e l’aspetto gentile cela un animo d’acciaio. Venne deportato dalla Crimea per ordine di Stalin nel 1944, a soli sei mesi d’età. Perseguitato sotto il regime sovietico fece lo sciopero della fame per 303 giorni. Un anno fa, dopo l’annessione della Crimea per mano di Putin, a questo combattente silenzioso è stato impedito di tornare nella penisola che i suoi avi abitarono secoli prima dei russi. Ora è qui a Kiev ad accoglierci nella nuova Ucraina.
«Putin può anche vincere qualche battaglia, ma sarà l’Ucraina a vincere la guerra — noi abbiamo dalla nostra la passione, siamo pronti a morire», si infervora Hanna Hopko. Perché ora «noi abbiamo la nazione politica». La trentatreenne Hopko, presidente della Commissione affari esteri del parlamento ucraino fa parte di un’avanguardia di giovani parlamentari donna che si autoproclamano eredi delle manifestazioni di Euromaidan.
Due personaggi diversi per estrazione che professano con ferrea determinazione un identico credo: l’Ucraina deve diventare un Paese europeo moderno e sovrano.
Questo è un aspetto spesso trascurato. A Berlino, Washington o Bruxelles si dice “Ucraina” ma nel giro di trenta secondi si va a parlare di Putin, della Nato e dell’Ue. Prendiamo quindi in considerazione, per una volta, la lotta per l’Ucraina, condotta dagli ucraini, in un territorio in maggioranza ancora controllato dagli ucraini. Sarebbe un’impresa ardua anche se non ci fosse la guerra, perché la corruzione e il malgoverno degli oligarchi hanno raggiunto un livello spaventoso che ha deformato lo Stato sin da quando ha ottenuto l’indipendenza formale, circa un quarto di secolo fa.
Il vice ministro delle finanze dichiara che il 60% dell’economia del Paese è costituito dal sommerso o semi sommerso. Per fare un esempio, dicono che dei circa 20.000 chioschi di vendita di merce varia disseminati per le strade di Kiev solo 6.000 sono regolarmente autorizzati. Gli altri 14.000 esercizi forse pagano mazzette a qualcuno, ma certo non le tasse. Il corpo politico in questo Paese è così capillarmente corrotto che persino quelli che dovrebbero curarlo lo avvelenano. Potremmo chiamare Ukranio il veleno radioattivo che gli scorre nelle vene.
Al vertice di questo Stato corrotto siedono gli oligarchi che in genere dispongono di roccaforti regionali. Gli oligarchi non si limitano a possedere grosse fette dell’economia, finanziano i partiti, foraggiano gruppi di parlamentari per proteggere i propri interessi. I canali televisivi nel linguaggio comune prendono il nome dell’oligarca che li possiede: “il canale di Akhmetov”, “il canale di Firtash” e così via.
Da dove si comincia per trasformare uno Stato così deformato? C’è il progetto di un ufficio anti-corruzione indipendente dotato di autonomia investigativa e giudiziaria. Questa iniziativa incontra una feroce resistenza. Una parlamentare che sta lavorando, in stretta relazione, a proposte di legge anti monopolio mi ha raccontato di aver ricevuto minacce personali (“Non vorrei che succedesse qualcosa ai tuoi familiari mentre attraversano la strada”).
Sento usare due espressioni nuove: disappannare e deoligarchizzare. Disappannare significa far emergere parte dell’economia sommersa per colmare la voragine aperta nelle finanze pubbliche. Il presidente Petro Poroshenko, rivolto a noi membri del gruppo di studio dell’European Council on Foreign Relations in visita in Ucraina, ha affermato che l’aggressione da parte della Russia è costata al suo Paese circa il 25% della produzione industriale. Anche ricevendo i 40 miliardi di dollari in cinque anni di aiuti internazionali Kiev riuscirà a malapena a pagare i debiti. Ma dati i bassi stipendi dei burocrati, molti di loro preferiranno continuare a incassare mazzette piuttosto che riscuotere le tasse. Solo uno Stato in grado di garantire uno stipendio adeguato ai suoi dipendenti sarà in grado di riscuotere il denaro per pagare adeguatamente suoi dipendenti.
Cosa significhi deoligarchizzare lo dice la parola stessa. Ma come si fa? Di recente Kolomoisky, uno dei massimi oligarchi, è stato bacchettato da Poroshenko (a sua volta, ovviamente, un oligarca) che lo ha rimosso dall’incarico di governatore provinciale. Ma Kolomoisky ha utilizzato le risorse del suo clan per proteggere la sua regione e quelle confinanti dalla destabilizzazione dei separatisti russi. Del fronte interno ucraino trascurato dai media posso dare solo qualche immagine. La guerra ha unito la massima parte del Paese, anche se ne ha diviso la propaggine orientale.
Difficilmente Putin si accontenterà di “congelare” il conflitto in Ucraina orientale, opzione che molti qui a Kiev considerano per ora il male minore. Putin vuole che il conflitto covi sotto la cenere, così che l’Ucraina resti un Paese debole. Come europei abbiamo il compito di impedirgli di raggiungere il suo obiettivo. Noi però non possiamo far altro che creare le condizioni in cui gli ucraini stessi possano cogliere l’opportunità offerta da questa crisi per costruire una nuova Ucraina. Il resto sta a loro.
(Traduzione di Emilia Benghi)