La Stampa Tuttolibri 11.4.15
L’Europa al bistrot del nulla mentre arriva il Califfo
di Mattia Feltri
Quando eravamo ragazzi anche noi al nord, come Pietrangelo Buttafuoco ad Agira, avevamo il Saraceno dei Pupi appeso alla parete. Ci era stato accordato il permesso, con le attenzioni del caso, di tirarlo giù per buttarlo nella disputa quotidiana con lo yankee Big Jim e altri derivati europei, e la battaglia si risolveva quando il Saraceno alzava la meravigliosa sciabola oltre lo sguardo fiero, e la calava proprio lì, sul collo del bianco che non portava il nome di infedele.
Sono le romanticherie dei ricordi, anche quelli di Buttafuoco, del Turco Napoletano di Totò, dei viaggi fra sapienti musulmani di Tintin, del Sarracino di Renato Carosone, quando l’immensa distanza fisica di due mondi era esotica e dolce. Il toccarsi, il trovarsi faccia a faccia, il mescolarsi non è mai cosa semplice, non lo è specialmente adesso che l’Europa è postmaterialista, è anche andata oltre il nichilismo, è stanca e annoiata dalle sue conquiste di libertà, non ha altro orizzonte che la torpida rinuncia a sé e - come scriveva Emil Cioran - ha riversato nei bistrot le sua migliore arte dialettica, a proposito della cottura dell’entrecôte; e intanto accoglie immigrati per i quali la vita è un banale transito verso l’aldilà, per i quali tutto è millenarismo, è quella metafisica da noi accantonata per la secolarizzazione, e per i quali c’è un angolo di infinito che si insinua fra la res cogitans e la res extensa, «dove le ombre del mondo sensibile si trasformano in simboli evocativi».
Che abbiamo noi da dirci? Ne avremmo se sia sunniti sia sciiti aspettano il ritorno di Gesù a cavallo, diretto a Gerusalemme dove sconfiggerà l’Anticristo e inaugurerà un regno quarantennale prima di morire ed essere sepolto accanto a Maometto, e lì staranno fino al giorno del giudizio. Già detto così, e Buttafuoco lo dice meglio, sembra la promessa vorticosa e poetica dell’ecumenismo, ma c’è che l’Occidente ha rinunciato a sé e che i terroristi dello Stato islamico, «intossicati dall’odio verso la civiltà», ammazzano ogni speranza, ammazzano gli occidentali, ammazzano soprattutto gli altri musulmani e non c’è istante di sferica perfezione che rivaleggi con quello del poliziotto che muore sotto la redazione di Charlie Hebdo invocando Allah, ucciso da un assassino che invoca Allah. Dunque il problema non sarebbe geografico, non sociale, è metafisico, e alla fine scivola dentro le righe stonatissime in un libro di profondità lirica, le righe in cui si insinua del patto repellente in scenografia hollywoodiana fra il califfo dell’Isis e lo sceriffo di Washington, altro che la sciabola del Saraceno sul collo di Big Jim.
Ma non è questo il punto. Il punto non è mai quello della chiusura del cerchio, il senso è tutto nel disvelamento, «io di mio ho un nome saraceno. Sono Pietrangelo Buttafuoco e mi chiamo Giafar al-Siqilli». Alle parole tocca rendere l’intangibile, cioè la vertigine di un senso che dentro di noi va indietro nei secoli. L’Europa sarà islamica e Ottomana, dice Buttafuoco. E a noi, sarà consentito chiacchierare del nulla dentro ai bistrot?