domenica 5 aprile 2015

La Stampa 5.4.15
Dall’utopia all’arte: la rivincita degli anarchici cacciati
A Mendrisio, nel Canton Ticino, una mostra di quadri, manifesti e documenti dell’epoca in cui il credo libertario incendiò l’Europa
di Andrea Colombo


Addio Lugano bella. Quando gli anarchici cantavano quel motivo che ricordava la loro cacciata dalla Svizzera, bollati come sovversivi e pericolosi bombaroli, mai avrebbero pensato che, un secolo dopo, a loro sarebbe stata dedicata, proprio in terra elvetica, una mostra celebrativa. «Anarchia tra storia e arte», al Museo d’Arte di Mendrisio (fino al 5 luglio, a cura di Simone Soldini), raccoglie oltre 100 opere tra capolavori d’arte, manifesti, documenti d’epoca, filmati. Una ricca rassegna che copre l’arco temporale tra fine ’800 e inizi ’900 in cui il credo libertario incendiò l’Europa.
Il percorso espositivo evoca l’intensa atmosfera di un periodo inquieto e conflittuale, testimoniando il profondo interesse da parte degli artisti per l’utopia rivoluzionaria. Ne furono toccati tutti, realisti e simbolisti, impressionisti e divisionisti, neogotici e futuristi, e molti di loro si proclamavano di fede anarchica. Così troviamo gli stili più diversi: dal Ritratto di Proudhon di Gustave Courbet ai grandi studi divisionisti per Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, da L’oratore dello sciopero di Emilio Longoni fino all’astrattismo dada di Hans Arp. Tutti accomunati dal sogno utopico di un futuro senza Stato, né Chiese, né ingiustizia sociale. Le immagini di pensatori, contadini, operai, sindacalisti, miserabili e vagabondi rappresentano il popolo variegato dell’anarchia. Contorni netti, con i poveri e gli ideologi dalla parte dei buoni e i banchieri, i giudici e i preti nelle veci degli oppressori. Una divisione manichea che diventerà più sfumata e meno retorica con l’avvento delle avanguardie.
La scelta del Canton Ticino per la mostra non è casuale. Qui infatti trovarono rifugio i maggiori esponenti del movimento anarchico internazionale, dal soggiorno di Michail Bakunin fra il 1872 e il 1876 al passaggio di Elisée Reclus, Carlo Cafiero, Andrea Costa, Errico Malatesta, Eric Mühsam, solo per citarne alcuni. Ma una delle esperienze più significative fu sicuramente quella della comunità alternativa che si insediò alla fine dell’800 sul monte Monescia sopra Ascona. Ribattezzata Monte Verità, sarà per un paio di decenni un polo d’attrazione per artisti, teosofi, anime ribelli e scrittori controcorrente provenienti da tutta Europa.
A fondarla furono Henry Oedenkoven, figlio di un industriale belga, la pianista Ida Hofmann dal Montenegro, i fratelli transilvani Gusto e Karl Gräser, l’uno pittore l’altro poeta. I componenti della comune agricola andavano vestiti con lunghe tuniche bianche, le barbe e i capelli immancabilmente lunghi. Precursori degli hippy degli anni Sessanta, fedeli a una mentalità autarchica, ecologista e anticapitalistica, non disdegnavano il naturismo: vivevano in spartane capanne di legno rilassandosi con l’euritmia e bagni di sole integrali, esponendo i loro corpi a luce, aria, sole e acqua. Vegetariani rigorosi, adoravano la natura, predicandone la purezza e interpretandola simbolicamente come l’opera d’arte definitiva. «Il prato di Parsifal» e «La rocca di Valchiria» erano nomi simbolici, dal chiaro sapore wagneriano, che davano ai diversi luoghi del monte.
Ben presto questa singolare avventura comunitaria divenne un punto di riferimento per molte personalità di rilievo: la frequentarono, tra gli altri, il principe utopista Pëtr Kropotkin, l’artista Hans Arp, lo scrittore D.H. Lawrence, la danzatrice Isadora Duncan. Il Monte Verità, l’ambizione di costruire un mondo nuovo in armonia con la natura, è solo una dei mille volti dell’anarchia presenti nella mostra di Mendrisio, un itinerario iconografico della controversa storia di una filosofia che ha fatto della ribellione l’unica legge da osservare.