mercoledì 29 aprile 2015

La Stampa 29.4.15
Il fascismo scomparso dal 25 aprile ricompare nell’aula di Montecitorio
Bagarre tra i gruppi, insulti alla Boldrini. E fioccano le evocazioni mussoliniane
di Mattia Feltri


Scomparso dal 25 aprile, l’allarme fascismo è resuscitato tre giorni dopo come nostro Signore Gesù Cristo: ne è risuonata ieri l’aula di Montecitorio e così che nemmeno negli anni ruggenti del Cavaliere nero. Un «fascista», un «fascisti», un «fascismo», una fascisteria via l’altra ad annacquare la gradazione delle insolenze, e ben colorite, che ormai fanno parte dell’armamentario parlamentare. Per dire, in paragone è nulla lo scambio da ballatoio fra la presidente Laura Boldrini e il fittiano Maurizio Bianconi all’annuncio della fiducia dato da Maria Elena Boschi. A Bianconi è partito un «infami, fate schifo, vaffan...», e all’allibita Boldrini che si raccomandava un linguaggio adeguato, ha replicato con gesto rafforzativo del braccio: «Ma vaffa anche te!». Non si giurerebbe che il pathos impegnato poco dopo dal capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, fosse altrettanto genuino. Lui, che si è preso della camicia nera assieme ai suoi fino a un quarto d’ora fa, aveva messo cipiglio e compunzione in tutto il suo sconcerto: «Non consentiremo che si faccia di quest’aula un bivacco di manipoli renziani». Non importa che sia una delle citazioni più usurate dell’ultimo lustro (quella dell’aula sorda e grigia del discorso di Benito Mussolini del 1922), Brunetta l’ha ripetuta tre volte, ha aggiunto considerazioni sul «fascismo renziano» e sul «fascismo di Renzi» che, sia detto, «non consentiremo».
Senza la performance partigiana di Brunetta, la cosa sarebbe passata come lo spot più rumoroso nel programma del giorno: non avrebbero stupito le passioni resistenziali del vecchio Umberto Bossi - «è fascismo e contro il fascismo si prendono i fucili o si sale sull’Aventino» - né le smisuratezze di Beppe Grillo - «sono fascisti» - passato dalla denuncia del golpismo a quella del totalitarismo, e nemmeno l’ever green di Sinistra e libertà, che con Arcangelo Sannicandro ha suggerito la «continuità fra lo Stato repubblicano e lo Stato fascista». Si sarebbe iscritto alla voce del folklore ogni barrito prorotto dai cinque stelle a vene del collo riboccanti durante il beffardo intervento del capogruppo in pectore del Pd, Ettore Rosato, all’esordio in sostituzione di Roberto Speranza. Rosato diceva che la fiducia mica era colpa sua, era colpa dei forzitaliani che cambiano idea ogni un paio di settimane, e aveva irriso il lancio di crisantemi appena inscenato da Sel, in lutto per la morte della democrazia. Lì si è arrivati a un dito dal corpo a corpo, anche perché un’imprudentissima Boldrini, scocciata coi cinque stelle, aveva detto «lasciate parlare, come gli altri lasciano parlare voi», e non è bellissimo se si è appena messa una fiducia che annienta dibattito ed emendamenti. Comunque, Rosato è stato onorato di vari titoli, da «coglione» a «imbecille», e nel mucchio si sono levate le classiche grida di «vergogna» ed «elezioni», inviti ad andare « a fare in c.», invettive incrociate da gruppo a gruppo, una babilonia mille volte sorbita con l’appellativo in più, «fascista», riversato sui parlamentari democratici. Almeno adesso sanno l’effetto che fa.
E dunque la novità viene da Forza Italia a ricompattare le opposizioni, e a ricompattarle in nome della lotta al neoduce. «La madre dei fascisti è sempre incinta», ha detto Elvira Savino a conforto delle angustie di Brunetta. Il deputato grillino Diego De Lorenzis ha ricordato che la fiducia in questioni di legge elettorale fu imposta «soltanto in epoca fascista» per la legge Acerbo e in periodo repubblicano con la legge truffa. «Voi non vi rendete conto di essere in dittatura», ha poi rincarato Alfonso Bonafede, sempre dei cinque stelle; e nella millesima baruffa con la Boldrini dalla truppa è partito un «collusa» e lei, una che tre giorni fa ha definito nuovi partigiani i migranti, non ha avuto stomaco di ingoiare l’accusa di complice dei fasci: «Continuate con gli insulti se non sapete argomentare!». Una reazione non proprio presidenziale, specialmente davanti a un’opposizione magari non particolarmente ammodo, ma a cui sulle riforme, fra ghigliottine, canguri e fiducie, è regolarmente impedito di mettere becco. Tutto era ormai molto sopra le righe, da una parte e dall’altra, fra esasperazioni e involontarie parodie, e per fortuna però che c’era Ignazio La Russa, di certo il migliore in campo, se non altro perché ha invitato Brunetta ad astenersi da certi paragoni «ché si mette in farsa una storia tragica», e forse invece di «tragica» avrebbe preferito un altro aggettivo. E infatti, una volta fuori, alla domanda se Renzi sia davvero fascista, ha risposto a mano destra tesa: «Magari! Lo voterei per vent’anni!».