domenica 26 aprile 2015

La Stampa 26.4.15
“Quando gli operai torinesi marciavano sul solco di Cavour”
Nerio Nesi ripercorre in un libro la sua vita “al servizio del Paese”
Da Olivetti alla Bnl, da Togliatti a Moro, a Berlinguer e Craxi
ntervista di Bruno Quaranta


La mia Italia? In una fotografia, mai ingiallita, da sinistra a destra: Mattei, Longo, Parri, Pertini, La Malfa... c’era una volta una classe dirigente... In un ricordo: i risparmi di Pertini, poche decine di milioni, pur avendo ricoperto numerose e prestigiose cariche pubbliche».

Novant’anni a giugno. E così Nerio Nesi, politico di respiro socialista (ministro dei Lavori pubblici nel governo Amato) e banchiere (già al vertice della Bnl, 1978-1989) si è alfierianamente donato la sua vita scritta da sé medesimo, inalberando un titolo risorgimentale e quindi orgogliosamente demodé, Al servizio del mio Paese (Aragno editore), nelle corde di chi presiede la Fondazione Cavour.
Un emiliano a Torino (sotto la Mole dal dopoguerra), Nerio Nesi. Fra coloro che riconoscono nella Resistenza le proprie fondamenta.
Che cosa riscoprire di quella stagione?
«Un valore, in primis: il coraggio. Come, per esempio, lo testimoniò il mio maestro di diritto romano, Edoardo Volterra. Allorché, impavido, indossata la divisa tedesca, raggiunse i suoi libri, in zona nemica, mettendoli in salvo».
Di tanto in tanto fa ritorno a Corticella, la frazione di Bologna dov’è nato. Raccogliendo un lamento: «Non ci sono più uomini capaci di suscitare i vecchi ideali». E invece?
«E invece ne intravedo, ne ho incontrati. Da Ciampi, che ha insegnato, re-insegnato, ad amare la Patria, a Napolitano, ovvero il senso del dovere al sommo grado».
Vi è chi in Berlinguer e in Moro riconosce la migliore Italia del dopoguerra.
«Non manco di rendere onore a Berlinguer, a cominciare dalla prova di autonomia che diede in un viaggio in Unione Sovietica nel 1946. Il capo delegazione jugoslavo chiede di brindare a Trieste jugoslava. Berlinguer, con un cenno, sollecita un partigiano comunista torinese a rispondere: “Bevo alla salute di Trieste italiana”. A seguire, il finimondo».
E Moro?
«Il suo capolavoro: l’apertura a sinistra. Il suo sequestro: Craxi trattativista, Riccardo Lombardi, che considero un secondo padre, no, io indeciso. Ma non esitai a organizzare il congresso di Torino del Psi, nonostante fossi nel mirino delle Br. Fu allora che conobbi il generale Dalla Chiesa».
Lei e il Generale...
«Nell’82, come presidente della Bnl, stavo visitando le filiali dell’Istituto in Sicilia. Dalla Chiesa mi telefonò amareggiato perché non gli avevo fatto visita. Semplicemente, non volevo disturbarlo. Mi annunciò il suo tragico, prossimo addio: “Sono un uomo solo”».
Banche e mafia. Come arginare attraverso le banche la Piovra?
«Molto si è fatto: trasparenza dei bilanci, pubblicità delle decisioni, concorrenza... Ma, va da sé, la strada è sempre stata impervia, la sfida titanica. Un episodio emblematico: una volta, in agosto, visitai una filiale in un villaggio della Locride, scortato dai carabinieri. All’ingresso campeggiava un cartello: “I signori clienti, prima di entrare, sono pregati di depositare le armi, anche se regolarmente denunciate”».
Lei alla guida della Bnl giunge dopo la direzione finanziaria dell’Olivetti. L’«utopia concreta» di Adriano Olivetti si esaurisce con lui?
«È un unicum in Italia. Le origini ebraico-valdesi, il suo Canavese, che evoca certi paesaggi di Francia, il capitale in sintonia con il fattore umano, il profitto continuamente reinvestito, nell’azienda e nel movimento Comunità, l’osmosi proprietà-dipendenti-Università-intellettuali...».
Presiedere la Bnl nell’epoca di Craxi. Montanelli le appuntò una medaglia: «Fosti un socialista che seppe dire, a muso duro, no a Craxi».
«Tra i motivi che segnarono la fine della mia presidenza: Craxi mi intimò di andare in soccorso di Ligresti con 300 miliardi... Che cosa mi indusse a lasciare il Psi? La sua degenerazione, di cui Bettino fu il principale responsabile. Ma di Craxi ne ho conosciuti diversi. A distinguere il mio Craxi è l’amore per l’Italia».
Il socialista Nesi eletto in Parlamento nelle liste di Rifondazione comunista e dei Comunisti italiani. Nonché «cavouriano». Non c’è contraddizione?
«Alla Costituente Togliatti diede atto ai metallurgici di Torino di “saper camminare sul solco aperto del conte di Cavour”...».
Che cosa accomuna gli operai e il Conte?
«Il senso della gerarchia, il senso dello Stato, che sarà cruciale per sconfiggere il terrorismo».
Torino, una sua figura...
«Bruno Vasari, l’asburgico direttore centrale amministrativo della Rai, via Arsenale 21... Ero un neo laureato. Assuntomi, mi comunicò l’orario di lavoro: dal lunedì al sabato fino alle 19, la domenica fino alle 13. Il settimo giorno, alle 13, mi congedava: “Forse abbiamo fatto il nostro dovere verso il Paese”».