La Stampa 26.4.15
Sull’Italicum la tensione resta alta ma Renzi non teme la conta in Aula
Il conti di Palazzo Chigi: con i centristi e i deputati di Verdini si arriva a 375 voti L’affondo di Bersani: il premier ha fatto una pressione indebita sul Parlamento
di Fabio Martini
Il pallottoliere che a Palazzo Chigi misura quotidianamente ogni spostamento minimo tra favorevoli e contrari in vista delle votazioni segrete sull’Italicum, segna «sereno variabile»: nelle ultime 48 la stima ufficiosissima e inconfessabile degli uomini del Presidente fissa a quota 375 i voti considerati sicuri e già chiusi in «cassaforte». Un calcolo che è il risultato di una complicata sfilza di addizioni: i deputati di maggioranza sono 403, i forzisti vicini a Verdini e pronti a votare col governo si valuta siano una dozzina e fanno 415. A questi, gli uomini di Renzi sottraggono 40 voti: una trentina di deputati della minoranza Pd e una decina di centristi che sono iscritti a diversi gruppi parlamentari. Totale: 375 voti.
Dicono a Palazzo Chigi: «In votazioni come quelle che si preparano non serve avere la maggioranza assoluta dell’aula, 316 voti, ma basta averne uno in più del fronte del no: alla fine i sì saranno alcune decine più dei no...». Calcoli ragionati e riscontrati ma inevitabilmente scritti sull’acqua, se non altro per un motivo: le votazioni decisive per l’Italicum sono previste fra 7-9 giorni e dunque in questi giorni sarà possibile fare e disfare. Anche se un primo, interessante test è fissato per dopodomani: si voteranno due pregiudiziali di costituzionalità per le quali Forza Italia ha chiesto (e otterrà) il voto segreto. In astratto il governo potrebbe mettere la fiducia, ma è improbabile che lo faccia perché la fiducia è politicamente nelle cose: se passasse una delle due pregiudiziali su una questione fondamentale come la costituzionalità, sarebbe quasi inevitabile la crisi di governo. Superati questi due scogli, Renzi dovrà decidere se porre o meno la fiducia sui tre articoli della riforma, quando arriverà il momento delle votazioni nella settimana tra il 4 e il 7 maggio.
È vero, anche ieri il barometro del governo segnava «sereno» ma con l’aggiunta di un «variabile» sopraggiunto nelle ultime ore. A Palazzo Chigi nessuno lo ammetterebbe mai, ma l’ultima esternazione del presidente del Consiglio («se cade l’Italicum, cade il governo») è come se fosse stata percepita come eccessiva in diverse aree politiche, col risultato che nelle ultime ore la divisissima minoranza Pd si è in parte ricompattata. La minaccia di Renzi infatti è intervenuta proprio mentre nella minoranza (divisa in tre aree, Bersani-Speranza, Cuperlo, Martina), si stavano studiando degli (inconfessabili) escamotage per salvare la faccia: votare la fiducia ma non la legge, uscire durante i voti di fiducia e votare la legge.
Ma il bombardamento renziano ha avuto l’effetto (momentaneo?) di produrre un irrigidimento tra gli oppositori dell’Italicum. Eloquenti le parole di un uomo come Pier Luigi Bersani: «Quella di Renzi che dice che se la legge non passa cade il governo è una pressione sul Parlamento indebita perché non tocca al governo». E ancora sul mancato invito alla festa dell’Unità e sull’autocritica di Renzi: «Lui ha detto che se voglio andare a Bologna, mi manda a prendere in macchina? Cosa devo rispondere? Continuiamo pure a scherzare, anche se c’è poco da scherzare».