sabato 25 aprile 2015

La Stampa 25.4.15
La strategia del premier tentato dalle tre fiducie
Porrà la questione su tutti gli articoli della legge elettorale E lascia trapelare il fastidio per le frasi di Prodi e Letta
di Fabio Martini


Il suo «Vietnam» si avvicina e Matteo Renzi ha già deciso come combattere la madre di tutte le battaglie. In pubblico dice che deciderà il da farsi nei prossimi giorni; dice che se cade l’Italicum, cade anche il governo, in questo modo terrorizzando i tanti parlamentari che temono lo scioglimento anticipato delle Camere. Ma in cuor suo ha già preso la decisione più difficile. Salvo sorprese dell’ultima ora, il governo porrà la questione di fiducia per tre volte: un voto per ogni articolo della legge elettorale. E d’altra parte il premier è costretto a rompere gli indugi, perché a partire da martedì 28 aprile iniziano le votazioni decisive sulla legge alla quale il premier tiene di più: quella riforma elettorale che, una volta approvata, potrebbe favorire la sua vittoria alle prossime elezioni politiche.
Certo, l’uomo ha già dimostrato di sapere cambiare all’ultimo istante mosse già programmate, spiazzando i suoi avversari. E anche stavolta Renzi, soppesando le forze in campo, potrebbe disporre il contrordine. Ma se i «fondamentali» non dovessero cambiare, lo staff di Renzi ha deciso che ai due probabili voti segreti (pregiudiziale di costituzionalità e voto finale sull’Italicum) «imposti» dal regolamento, il governo opporrà tre voti di fiducia.
Una battaglia parlamentare che Renzi, da quel che trapela, è convinto di vincere ma che non sottovaluta. Anche perché nei passaggi decisivi il presidente del Consiglio è pronto calare una carta hard, l’arma costituzionalmente legittima ma politicamente più controversa: il voto di fiducia. E di farlo a ripetizione. Come fece un padre della patria come Alcide De Gasperi nel 1953 per la cosiddetta legge truffa, peraltro una riforma decisamente più soft di quella attualmente in discussione, visto che garantiva un premio alla coalizione che avesse superato il 50 più uno dei voti.
Già da tempo Renzi ha preparato con ogni cura la battaglia (per lui) decisiva. Anzitutto ha già dispiegato un vasto «porta a porta» con tutti i deputati incerti, un lavoro svolto da Maria Elena Boschi, da Luca Lotti e in alcuni casi da lui stesso. Ma l’argomento più convincente è quello della minaccia delle elezioni anticipate. Un argomento destinato a far breccia nella «palude» dei tanti deputati centristi disseminati in diversi gruppi parlamentari? «Sì - dice Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto e anche uno dei parlamentari più esperti e dal fiuto più sensibile - il sentimento prevalente è il timore che, saltando la riforma elettorale, salta la legislatura. E non viceversa. Ecco perché il governo passerà senza problemi anche nelle votazioni segrete».
Dopo essere passato all’esame delle Commissioni, lunedì 27 il testo della riforma elettorale arriva nell’aula di Montecitorio per la lettura che (nel giro di una decina di giorni) potrebbe risultare decisiva: lo sarà se non ci saranno modifiche anche minime (che riporterebbero il testo al Senato), per non parlare ovviamente di una bocciatura nel voto finale, che cancellerebbe il provvedimento sul quale Renzi punta di più.
Lunedì l’aula sarà chiamata ad esprimersi sulle richieste di sospensiva delle opposizioni, si voterà a scrutinio palese e su questo passaggio il governo non dovrebbe rischiare. Il primo test probante si giocherà l’indomani: il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta ha già annunciato che sulla pregiudiziale di costituzionalità, Forza Italia chiederà il voto segreto. Il governo ha deciso (per ora) di non porre la fiducia su questa pregiudiziale, che «implicitamente è un voto di fiducia al governo», sostiene il costituzionalista Stefano Ceccanti.
Se la legge passerà indenne, dopo la discussione generale che occuperà tutta la settimana, a partire dal 5 maggio si entrerà nel vivo con le votazioni sui singoli articoli. Renzi è sincero quando dice di essere fiducioso sulla tenuta parlamentare. Mentre sembra più agitato per una nuova «nebulosa» che si muove fuori dal Palazzo. Le battute sprezzanti («sono in uscita i loro libri») con le quali ha liquidato le critiche di Romano Prodi ed Enrico Letta lasciano trapelare tutto il fastidio per le opinioni dissonanti proposte da due personalità senza «truppe» e senza correnti, due senza-partito che nell’ottica di palazzo Chigi possono diventare più pericolosi degli ultimi rappresentanti della «ditta».