Il Sole Domenica 25.4.15
Tragedie da evitare
Perché selezionare gli embrioni
di Michele De Luca
Tragedie da evitare
Perché selezionare gli embrioni
di Michele De Luca
Questo Paese non smette mai di stupirmi. Dopo mesi di battaglie condotte da noi scienziati, anche dalle pagine di questo supplemento domenicale, per combattere una bufala scientifica che rischiava di illudere migliaia di pazienti sull’efficacia del cosiddetto metodo Stamina e gettare discredito sulla ricerca scientifica italiana, mi ritrovo, mio malgrado, a combattere una nuova battaglia ingaggiata dalla strumentalizzazione mediatica della scienza.
Mi riferisco all’articolo comparso giovedì sull’inserto di «Avvenire» in cui, a mia insaputa, i risultati di decenni del mio lavoro sono stati strumentalizzati per contrapporre la medicina rigenerativa alla diagnosi pre-impianto, affermando che «nei laboratori italiani per la medicina rigenerativa si mettono a punto terapie innovative che non “scartano” i soggetti malati».
L’autrice dell’articolo in questione ha mai incontrato un Bambino Farfalla o un bambino affetto da ittiosi arlecchino o da SMA? Hai mai provato la frustrazione di vedere un figlio soffrire, a causa di una malattia che i genitori stessi gli hanno trasmesso, e sapere di non poterlo aiutare mitigando il suo dolore? O peggio, ha mai accompagnato suo figlio verso il suo ultimo viaggio in una piccola bara bianca? Perché di questo stiamo parlando, lottando per estendere la diagnosi pre-impianto alle coppie fertili portatrici di una patologia genetica. Coppie che conoscono bene la malattia, che hanno già passato o stanno ancora passando un calvario difficilmente immaginabile per chi non l’abbia vissuto direttamente. E proprio le mie ricerche e l’incontro con tanti pazienti e con le loro sofferenze mi portano a pensare che tutti i miei sforzi per trovare una cura per questi pazienti che oggi soffrono non può sostituire il sacrosanto diritto di queste famiglie di mettere al mondo un figlio sano. Quale morale e quale etica possono negare a un essere umano questa libertà, quando la scienza offre gli strumenti per poterlo fare? E, oltretutto, li offre solo alle coppie infertili assai probabilmente sane, anziché a quelle certamente portatrici di una malattia genetica nota?
Come co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica proprio la settimana scorsa ho partecipato a un convegno in Senato su staminali e fecondazione assistita, riportando anche un messaggio che Anita Pallara, malata di SMA2 e rappresentante dell’associazione Famiglie SMA, quindi insospettabile di derive ideologiche o di affermazioni inconsapevoli, mi ha pregato di leggere una dichiarazione in cui affermava che la diagnosi pre-impianto è un fondamentale del diritto alla vita.
La genetica mendeliana ci dice chiaramente che nel caso di una patologia genetica a trasmissione recessiva due genitori portatori sani hanno il 25% di possibilità di generare un figlio sano, il 25% di possibilità di generare un figlio malato e il 50% di generare un figlio non malato ma portatore sano della stessa patologia genetica.
Cosa succede normalmente nella fecondazione assistita? Vengono prelevati un certo numero di ovociti dalla madre e fecondati in vitro dai gameti del padre per dare origine ad un certo numero di embrioni, tra cui verranno selezionati, secondo alcuni parametri prestabiliti, quelli che nelle primissime fase dello sviluppo embrionale si rivelano più adatti all’impianto in utero. Ipotizziamo, per comodità, che per una coppia vengano selezionati 8 embrioni. Mendel ci insegna che di questi, due saranno certamente malati, 4 saranno portatori e solo 2 saranno sani. Sarebbe tecnicamente possibile, per questa coppia di genitori, sapere quali sono i 2 embrioni sani? Certamente sì, grazie alle nuove avanzate tecniche diagnostiche. E cosa impedisce loro di scegliere proprio questi? Una norma giuridica ingiusta, impietosa e crudele che impone loro di mettere nelle mani del caso il destino della loro discendenza. E li costringe a sopportare il dolore di abortire un figlio desiderato oppure di convivere con un figlio malato per il tempo e alle condizioni che la malattia impone. Quali diritti si difendono in questo modo? Quella della dea bendata di decidere le sorti di una famiglia? Quello del concepito di nascere malato? O della famiglia di non poter avere la stessa possibilità delle altre famiglie di giocare coi propri figli e vederli crescere sani e indipendenti?
Onestà intellettuale, per favore. Non strumentalizziamo i pochi successi della terapia genica, che si contano sulle dita di una mano, legati, per ora, solo a sperimentazioni cliniche. E non strumentalizziamo la potenziale, futuribile terapia genica “in utero” che è ben lontana dall’essere una realtà. Nessuna terapia, per quanto innovativa, potrà mai curare, neppure in futuro, tutte le 7mila patologie rare che esistono, mentre la diagnosi pre-impianto può prevenire, oggi, tanta sofferenza. Nessuno obbligherà mai nessuna coppia a sottoporsi alla diagnosi, ma nessuno di contro dovrebbe obbligare nessuna coppia a non farlo.