mercoledì 8 aprile 2015

Il Sole 8.4.15
Iran e Turchia fronte comune contro l’Isis
di Alberto Negri


L’Iran sciita e la Turchia sunnita non sono d’accordo su quasi nulla di quanto accade in Medio Oriente. Anzi sono su fronti opposti in Yemen, in Iraq e in Siria combattono una guerra per procura.
L’Iran sostiene Bashar Assad mentre la Turchia ha aperto in questi anni a guerriglieri e terroristi “l’autostrada della Jihad” per abbattere il regime di Damasco e ora confina per 400 chilometri con il Califfato. L’Iran è stato invece il primo governo della regione a scendere in campo apertamente contro lo Stato Islamico.
I due vicini di casa, eredi di antichi Imperi, non sono mai stati in apparenza così rivali negli ultimi tempi. «L’ascesa della mezzaluna sciita iraniana che con curdi ed Hezbollah ha fatto indietreggiare il Califfato in Iraq infastidisce non poco Erdogan», aveva confidato qualche giorno fa ad Ankara l’editorialista di Hurriyet Mura Yetkin e non è un caso che prima di volare a Teheran Erdogan abbia ricevuto la visita improvvisa del principe Nayef Al Saud, uno degli eredi al trono in Arabia Saudita, l’acerrimo avversario di Teheran nel Golfo e in Yemen dove Riad bombarda i ribelli sciiti Houthi.
Eppure Tayyep Erdogan, preceduto dalle aspre polemiche della vigilia in cui aveva dichiarato che «l’Iran cominciava a dare fastidio», è stato ieri il primo leader mediorientale e della Nato a volare a Teheran dopo l’accordo di Losanna sul nucleare perché come ripeteva Henry Kissinger «le nazioni non hanno amici o nemici permanenti ma soltanto interessi».
E con l’arte della retorica gli avversari riescono persino a superare i massacri sul campo di battaglia: «Ci impegneremo insieme a fermare il bagno di sangue in Medio Oriente e la guerra in Yemen», hanno dichiarato in una conferenza stampa congiunta Erdogan e il presidente iraniano Hassan Rohani, prima che il leader turco incontrasse anche la Guida Suprema Ali Khamenei.
Le divergenze restano, sono forti, ma attutite dagli interessi reciproci. La diplomazia iraniana voleva a tutti i costi far sedere al tavolo Erdogan e lo stesso presidente turco, che aveva per altro incoraggiato l’accordo sul nucleare, non intendeva rinunciare a un asset strategico della Turchia: il rapporto diretto e senza mediazioni con Teheran che si concretizza in un giro d’affari di 14 miliardi di dollari, da portare, secondo il comitato bilaterale riunito ieri, a 30 entro fine dell’anno prossimo. Un traguardo ambizioso ma a portata di mano più di quanto non si creda. Le sanzioni hanno danneggiato anche la Turchia che spera in un accordo definitivo tra l’Iran e il Cinque più Uno entro la fine di giugno per superare ogni embargo e penetrare il mercato iraniano: 80 milioni di consumatori che possono essere facilmente raggiunti dalla merci turche (ed europee).
Ma perché Erdogan è andato a Teheran vincendo le sue personali resistenze e quelle dei sauditi? L’Iran rientra nei piani strategici della Turchia di diventare un hub dell’energia diretta verso l’Europa. L’Iran già oggi esporta il 90% del suo gas in Turchia dove copre il 20% dei consumi interni, oltre al 16% di quelli petroliferi. Teheran, maggiore fornitore della Turchia dopo Mosca, ha le seconde riserve di gas al mondo ed è facilmente intuibile il piano di Ankara: mettere in concorrenza i suoi venditori principali, in primo luogo la Russia, con cui deve realizzare il gasdotto Turkish Stream fortemente osteggiato dagli americani, e poi anche l’Azerbaijan, al quale sarà collegata dal gasdotto Tanap.
Erdogan ha subito scoperto le carte. «Se l’Iran riduce i prezzi siamo pronti ad aumentare le nostre importazioni di gas. Due Paesi amici e fratelli hanno il dovere di mostrarsi solidali», ha detto il presidente turco. Parole un po’ diverse da quelle pronuciate qualche giorno fa dallo stesso Erdogan quando aveva attaccato Teheran affermando che «l’Iran sta provando a dominare il Medio Oriente infastidendo noi, i sauditi e gli altri Paesi del Golfo». L’uscita di Erdogan a Teheran, nel palazzo di Saadabad, è miele per le orecchie degli iraniani che puntano su Ankara per il loro export energetico verso l’Europa.
Ma ci sono altre ragioni, forse meno evidenti, che hanno spinto Erdogan a Teheran. Il presidente turco, che sul suo territorio schiera i missili Nato contro l’Iran, intende controbilanciare i suoi stessi alleati occidentali e regionali mostrando di avere mano libera di fare accordi con gli ayatollah. Il Medio Oriente è nel caos ma Teheran e Ankara sono sempre state d’accordo su un punto: non consentire la nascita di un’entità curda (o di uno stato curdo) fuori dal loro controllo. Ecco perché due vicini distanti e con interessi in apparenza inconciliabili trovano quasi sempre un accordo, come del resto suggeriscono le sperimentate ricette diplomatiche di Kissinger.