mercoledì 8 aprile 2015

Il Sole 8.4.15
Non è l’Italicum che spinge al voto
di Lina Palmerini


Non è nell'approvazione dell'Italicum che si può leggere il presagio di elezioni anticipate, come avverte la minoranza Pd. E' vero, oggi comincia il terzo passaggio alla Camera della legge elettorale ma è piuttosto il quadro economico che bisogna guardare per azzardare una previsione sulle urne. E il Def esaminato dal Governo non spalanca le porte al voto.
Al di là di una serie di frasi propagandistiche di Matteo Renzi che parla di questo Governo come del primo che non fa né tagli né aumenti di tasse, che non chiede più sacrifici agli italiani, il nocciolo della questione-crescita resta in sospeso. Nel Documento di programmazione economica e finanziaria illustrato ieri, le stime sul Pil rimangono prudenziali mentre i tagli di spesa sono cifrati da un numero enorme, 10 miliardi, gli stessi – anzi meno - che il premier prometteva di fare nell'agosto scorso. E dal Def si capisce come tutto lo sforzo finanziario sia concentrato sull'obiettivo di evitare gli aumenti dell'Iva e altre accise per 16 miliardi. Un obiettivo imposto dai precedenti governi che però il premier deve disinnescare e chissà se - e a quale prezzo politico - ci riuscirà. L'unica bandiera di Renzi restano quegli 80 euro diventati sgravi strutturali. Una bandiera che era molto servita al leader Pd in una precedente campagna elettorale, quella delle europee dell'anno scorso, che l'ha portato al 40,8% dei consensi. Ma per fare un'altra campagna elettorale – come teme la minoranza Pd - servirebbe un'altra bandiera, un risultato tutto di matrice renziana per essere sventolato e avvicinare le urne.
Insomma, non basta un Italicum fatto e finito per spalancare automaticamente le porte delle urne, come avvertono i bersaniani contrari alla nuova legge elettorale. Il voto si prepara più con argomenti economici che non con le lotte interne al Pd sui capilista bloccati. In questo senso, il Def che si è letto ieri non preannuncia uno scenario economico in chiave elettoralistica. Non lo esclude ma nemmeno lo prepara. Non solo resta prudente sulla crescita ma rinvia tutto il tema dei tagli e delle tasse all'autunno. Ed è lo stesso premier che frena sulla riduzione fiscale, cioè la vera misura di sapore elettoralistico come fu il bonus di maggio. Invece Renzi ieri è stato cauto, ha rimandato a settembre dicendo già di non sapere «se saremo in grado o no» di abbassare il carico fiscale. Così come non può ancora dire quali numeri avranno i due indicatori che sono, per eccellenza, la misura del rapporto tra un premier e i cittadini: quelli dell'occupazione e disoccupazione. Solo a giugno ci saranno le prime cifre Istat che ingloberanno – in parte – l'effetto del Jobs Act e dell'articolo 18 sul mercato del lavoro.
Dunque, si dovrà guardare più all'autunno e a quelle cifre per capire se si allontanano o si avvicinano le urne. Molto più che all'approvazione della legge elettorale che oggi arriva alla Camera per il suo terzo – e forse ultimo – passaggio parlamentare. Non sono ancora iniziate le votazioni ma la minoranza Pd grida già “al lupo al lupo” mettendo in guardia sulla voglia del leader Pd di andare al voto anticipato. Un allarme già lanciato altre volte ma che serve più a convincere i parlamentari a mettersi di traverso che non a segnalare un vero pericolo. «Renzi vuole correre alle urne, altrimenti non si capisce perché accelera sull'Italicum», diceva ieri Alfredo D'Attorre, dell'area bersaniana. Il fatto è che il premier non sembra così ingenuo da presentarsi alle elezioni a “mani vuote”, senza un risultato economico che sia la crescita, il lavoro o le tasse. Del resto, così ha fatto alle europee dello scorso anno quando si presentò al suo primo appuntamento elettorale con un bonus Irpef. Misura peraltro apprezzata anche dalla minoranza. «Timeo Danaos et dona ferentes»: sono i “doni” che ha in mente Renzi a preparare il voto, non le regole elettorali.