Il Sole 3.4.15
Anche i repubblicani hanno sospeso il giudizio di fronte a un passaggio da non sottovalutare
L’America prova ad archiviare 36 anni di isolamento iraniano
di Mario Platero
Persino i repubblicani in Congresso hanno abbozzato. E hanno fatto bene perché, pur fra i dubbi, i dettagli irrisolti e le verifiche necessarie, la valenza storica della svolta avviata a Losanna non può essere sottovalutata, neppure in nome del solito muro contro muro politico americano. Questo perché se i nodi ancora aperti saranno risolti, se l’impianto “quadro” annunciato ieri terrà e se il 30 giugno vi sarà l’accordo finale, non avremo solo archiviato un pericolo di proliferazione nucleare in Medio Oriente, ma avremo archiviato 36 anni di isolamento dell’Iran dal mondo occidentale, riaperto canali economici che interessano sia l’America che l’Occidente intero, avviato un dialogo con un interlocutore che potrebbe contribuire a stabilizzare la situazione nell’area. E avremo dimostrato che le sanzioni economiche funzionano come arma diplomatica e politica per riportare a più miti consigli chi pensa di poter agire a suo piacimento sfidando accordi internazionali costituiti.
Per questo abbiamo visto Barack Obama raggiante nel Giardino delle Rose della Casa Bianca. Giustamente il suo ricordo, mentre parlava, risaliva agli anni bui della Guerra Fredda, quando Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov si trovarono a Reykjavik nell’ottobre del 1986 e avviarono proprio su un accordo nucleare il dialogo che portò tre anni dopo ad altre svolte storiche ben più importanti. E a un dividendo per la pace che segnò negli anni 90 un periodo irripetibile di rinascimento economico. Partendo da questo accordo Obama lascia un’eredità al suo successore, quella di allargare il quadro della distensione sugli armamenti ai diritti civili, a un linguaggio diverso da quello che promette solo distruzione nei confronti dello Stato di Israele e alla fine della sponsorizzazione del terrorismo da parte di Teheran, sia che si tratti di Hezbollah in Libano o degli Houti nello Yemen. Obiettivi questi che oggi sembrano impossibili. Ma del resto, non sembrava impossibile 18 mesi fa, quando il negoziato è partito, immaginare che si sarebbe arrivati all’esito che abbiamo visto ieri a Losanna?
I repubblicani alla Camera resteranno vigili. Nell’accordo di ieri mancano dettagli. Ad esempio, quando si dice che gli impianti sotterranei di Fordo saranno trasformati in un centro di ricerca e sviluppo che cosa si intende davvero: solo una conversione per la ricerca nucleare sugli isotopi con finalità mediche o lo studio di nuovi acceleratori più moderni e veloci che potrebbero tagliare del 50% i tempi per arricchire l’uranio? Non è specificato. E dovrà esserlo a giugno, per garantire che l’Iran rispetti non solo la lettera ma anche lo spirito dell’accordo annunciato ieri. E perché mai il reattore ad acqua pesante di Arak resterà aperto e opererà su livelli che non consentiranno di avere plutonio a sufficienza per produrre un bomba invece di essere chiuso del tutto? Il ministro degli esteri Javad Zarif, sorridente, aperto, con ottimo inglese, un volto tipico del nuovo Iran, ha spiegato che l’orgoglio iraniano non deve essere offeso. Non possiamo chiudere tutto ma vi diamo la promessa che non ne faremo nulla ha detto in sostanza. E la verifica verrà dagli ispettori dell’Agenzia atomica internazionale. Avranno accesso illimitato anche a impianti militari iraniani, cosa che fino a ieri non sembrava essere nelle carte, le scadenze temporali sono rassicuranti: 10 anni per i limiti all’utilizzo delle centrifughe, circa 6.000 contro le 19.000 attuali, un impegno di 15 anni per la produzione di uranio arricchito al di sotto del livello chiave del 3,67% e un accesso agli ispettori per 25 anni per le ispezioni rimandano tutto a un futuro lontano. Anche queste scadenze hanno sorpreso dopo la sapiente comunicazione che rimandava il negoziato oltre il 30 di marzo e che sembrava promettere meno del necessario.
Se tutto andrà bene, se non ci saranno trucchi o rotture improvvise, se il leader supremo Khamenei non ci darà brutte sorprese, a partire dal 30 giugno avremo dunque tempi lunghi per ricostruire il dialogo con l’Iran. E a giudicare dalla rapidità con cui si sono evolute le cose nello scenario globale, chissà che in dieci anni le cose a Teheran non cambino davvero.