Il Sole 10.4.15
Ma l’efficacia richiede un cambio culturale
di Andrea R. Castaldo
Il Senato approva in via definitiva la legge in tema di misure cautelari personali, concludendo il tortuoso iter del ddl n. 1232-B, iniziato alla Camera il 9 gennaio 2014. Obiettivo della riforma, porre un freno all’uso disinvolto della custodia cautelare in carcere, mediante il rafforzamento dei parametri che legittimano l’adozione del provvedimento e un più stringente controllo di Gip e Tribunale del riesame sulla procedura seguita e sulla motivazione a sostegno.
È presto per dire se le nuove disposizioni invertiranno il trend esistente, dal momento che le modifiche formali incideranno poco senza un diverso atteggiamento culturale della magistratura. L’eccesso di custodia cautelare è statisticamente innegabile: su un totale di 54.122 detenuti al 31 marzo 2015, i non condannati in via definitiva sono 18.696, pari al 34,5% (Fonte Dap). Sebbene la popolazione carceraria sia in diminuzione, anche per effetto di recenti provvedimenti ”svuota-carceri”, resta tuttavia alta la percentuale di chi è in carcere in attesa di giudizio, specie se comparata con la Ue. Le ragioni sono complesse e riconducibili, da un lato, alla porosità delle norme procedurali vigenti, in grado di assorbire ipotesi variegate di ricorso alla custodia cautelare, grazie anche alla generosa interpretazione giurisprudenziale. Dall’altro, alla sottile convinzione in chi chiede e ottiene il carcere preventivo che tale misura anticipatoria sarà l’unica in concreto a essere applicata, complice la lunghezza eccessiva del processo e l’alea incombente della prescrizione.
La riforma recupera così il ruolo di extrema ratio della detenzione, in linea con la presunzione costituzionale di non colpevolezza dell’imputato. Le principali novità consistono innanzitutto nel richiedere, nel caso di pericolo di fuga o di reiterazione del reato, l’attualità, oltre al già presente requisito della concretezza. In sostanza, per qualsiasi esigenza cautelare sarà necessario un pericolo concreto e attuale. Il giudice, inoltre, non potrà desumere automaticamente il pericolo di fuga o di recidiva dalla gravità del reato per il quale si procede.
Quanto ai criteri di scelta delle misure si rafforza il carattere residuale del carcere, con il ricorso a esso solo se inadeguata ogni altra misura coercitiva o interdittiva, anche cumulativamente applicate. L’automatismo del ricorso al carcere per reati di particolare allarme sociale viene mitigato, prevedendosi l’esame valutativo del giudice di circostanze concrete, tali da annullare le esigenze cautelari o salvaguardarle con misure meno afflittive.
La presunzione iuris et de iure del regime detentivo viene dunque scalfita anche sulla scia delle recenti sentenze della Corte costituzionale (da ultimo, sentenza n. 48/2015, in tema di concorso esterno nell’associazione mafiosa). Ancora, l’ordinanza del Gip dovrà contenere, a pena di nullità, oltre alla già prevista «esposizione», anche «l’autonoma valutazione» delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa, innovazione utile per mettere fine ai provvedimenti del Gip di “copia-incolla” della
richiesta del Pm.
Da registrare infine positivamente le novità riguardanti la procedura di riesame, disegnandosi un più stringente controllo del Tribunale, con poteri estesi di annullamento. L’imputato potrà richiedere il differimento della data dell’udienza fino a un massimo di 10 giorni, per un migliore esercizio della difesa e sarà impossibile rinnovare l’ordinanza coercitiva dichiarata inefficace, salvo eccezionali esigenze cautelari, per evitare le prassi distorte di richieste custodiali a catena.