L’intellettuale Yasemin Inceoglu
“La Turchia sotto il tacco del Sultano”
di Roberta Zunini
In Turchia l’accusa di propaganda del terrorismo sbandierata dalla magistratura – sempre meno indipendente a causa delle sostituzioni dei pubblici ministeri e dei giudici liberi con quelli amici del “sultano” Erdogan – non fa altro che rispecchiare la nuova e assai restrittiva legge sulla sicurezza ispirata dal presidente e approvata un mese fa dal partito di maggioranza, l’Akp, fondato per l’appunto da Erdogan. “Qualsiasi scusa è buona per le autorità turche, in questo caso i magistrati, al fine di intimidire l’opinione pubblica e sopprimere i diritti cardini delle democrazie: la libertà di stampa e di critica. E infatti la Turchia moderna, fondata da Mustafa Kemal detto Ataturk, è sempre stata catalogata come democrazia ibrida”, dice Yasemin Inceoglu, docente universitaria di giornalismo presso l’Università pubblica di Istanbul, saggista nonché femminista storica.
La ventata di speranza portata 12 anni fa dall’apparizione sulla scena politica del moderato islamico Erdogan, super sponsorizzato dagli Stati Uniti, dalla rivolta di Gezi park del 2013 si è andata affievolendo sempre di più. Sia come premier sia ora come presidente della Repubblica, Erdogan sembra sempre più intenzionato a guidare il paese con pugno di ferro e precetti islamici ogni giorno più radicali. È un’impressione?
È la realtà. Il presidente Erdogan non ascolta più alcun consigliere se non la figlia, è sempre più isolato nella sua residenza dall’architettura megalomane, detesta le donne emancipate e laiche, non vuole critiche da parte della stampa e non vuole vedere gente in piazza che lo critica. Per questo ha voluto che venisse messa a punto una legge che dietro il pretesto della sicurezza dello Stato limita fortemente le libertà civili e dà un potere enorme alla polizia e ai servizi segreti. Chiunque intenda organizzare manifestazioni di protesta con questa nuova legge potrà essere arrestato senza bisogno della richiesta del magistrato e chi porterà una pietra o un oggetto che possa provocare danni verrà equiparato a un terrorista. Intanto i giornalisti vengono denunciati dalle autorità e incarcerati anche solo per la pubblicazione di una foto di un fatto di cronaca, come è successo per la pubblicazione della foto del procuratore con la pistola puntata alla tempia. Ma la stampa ha il dovere di pubblicare le notizie, di informare, non di nasconderle per fare il bene di un presidente o di un governo.
Perché proprio adesso?
Perché le elezioni di inizio giugno sono alle porte ed Erdogan, pur di assicurare al ‘suo’ partito la maggioranza dei due terzi del Parlamento in modo che possa cambiare la Costituzione e modificare lo status della Turchia, da Repubblica parlamentare a presidenziale, sta facendo di tutto, vedi appunto la legge di cui ho parlato.
L’equazione sarebbe dunque questa: volendo far stravincere le elezioni al suo partito, il presidente che ha saputo del calo di popolarità dell’Akp, è disposto a restringere ulteriormente le libertà civili, anche se il suo atteggiamento fomenta il terrorismo?
Sì. È così, pur di limitare le critiche contro di lui e il suo partito per non perdere ulteriori consensi, visto che negli ultimi mesi i sondaggi sulle intenzioni di voto hanno mostrato un calo di popolarità dell’Akp, non si preoccupa di fomentare il terrorismo e le rivolte.
Il terrorismo gli potrebbe anche far comodo per dimostrare che la Turchia ha bisogno di essere governata da un uomo forte, con pieni poteri?
In un certo senso, sì. E quando poi dimostra di voler inseguire i suoi nemici e i terroristi ovunque, come è successo ieri proprio in Italia dove è stato rintracciato il presunto reclutatore del gruppo responsabile della morte del procuratore, consolida il bacino elettorale dell’Akp ed erode elettori al Mhp, i nazionalisti islamici di destra tornati in auge nei sondaggi.