giovedì 2 aprile 2015

il Fatto 2.4.15
Il Vaticano cede sul fisco e salva gli immobili dall’Imu
La conferma del trattamento fiscale di favore
di Nunzia Penelope


Il Vaticano apre la porta al fisco italiano, e in cambio ottiene la garanzia che i suoi “portoni”, vale a dire il ricco patrimonio immobiliare, resteranno per sempre esentasse. È questo il succo della convenzione in materia fiscale firmata dalla Santa Sede con il nostro governo, anticipata da Matteo Renzi circa un mese fa nel corso di una intervista a L’Espresso, e ieri annunciata come “un nuovo passo verso la trasparenza finanziaria”.
UN PASSO AVANTI C’È: il Vaticano accetta infatti di trasmettere allo Stato italiano (anche se non in modo automatico ma solo su richiesta) le informazioni “verosimilmente più rilevanti” relative a imposte “di qualsiasi natura o denominazione”, senza possibilità di opporre “alcun segreto”. In pratica, è l’applicazione degli standard Ocse, gli stessi alla base degli accordi dei mesi scorsi con Svizzera, Lichtenstein e Principato di Monaco. Il nostro fisco potrà chiedere informazioni su presunti evasori, risalendo indietro fino al gennaio 2009. Inoltre, la Convenzione “consentirà il pieno adempimento, con modalità semplificate, degli obblighi fiscali relativi alle attività finanziarie detenute presso enti che svolgono attività finanziaria nella Santa Sede, da alcune persone fisiche e giuridiche fiscalmente residenti in Italia”. A parte la curiosità che suscita la scelta del termine “alcuni” (perché riguarderà solo pochi? O perché riguarderà taluni sì e taluni no?), questi soggetti potranno tra l’altro accedere alla procedura di regolarizzazione dei capitali detenuti in Vaticano, con gli stessi effetti stabiliti dalla legge n. 186/2014, più nota come legge sul rientro dei capitali, altrimenti detta Voluntary disclosure. Ma attenzione: la Convenzione, diversamente da quella firmata con Svizzera, Lichtenstein e Monaco, non servirà a ottenere ulteriori sconti sulle penali: il Vaticano non è un paese sulla black list, dunque chi rimpatria il tesoretto dalla Porta di Sant’Anna godrebbe in ogni caso di tutte le facilitazioni già previste dalla legge per i “capitali pentiti”.
Ma non c’è da aspettarsi ondate di miliardi di ritorno: quel che si voleva celare, dalle Mure Leonine è già scappato da tempo, trovando rifugio altrove. Per il resto, i vertici dell’Aif (l’autorità antiriciclaggio istituita da Papa Ratzinger) hanno fatto a loro volta pulizia: conti di cui non sia stato identificato il titolare, allo Ior pare ne siano rimasti ben pochi, e forse proprio quei pochi che ora riemergeranno grazie a questo accordo. In cambio di un sacrificio non certo estremo, dunque, la Chiesa ottiene però un’importante garanzia, una clausola che mette fine alle polemiche legate al pagamento dell’Imu per gli immobili ecclesiastici in territorio italiano.
Come osserva monsisgnor Gallagher, ministro degli Esteri del Vaticano e firmatario, assieme al nostro Pier Carlo Padoan, della Convenzione, il testo conferma il “regime fiscale peculiare” degli immobili situati nelle zone extraterritoriali, di cui l’accordo “ribadisce l’esenzione da ogni tributo che aveva costituito di recente oggetto di incertezze giurisprudenziali”. La Convenzione, seppure non rivoluzionaria come si vorrebbe rappresentarla, costituisce comunque un ulteriore passo verso la trasparenza di un mondo fino a pochi anni fa del tutto oscuro.
L’ACCORDO FISCALE segue quello sull’antiriciclaggio firmato tra Vaticano e Italia a metà del 2013 e fa da battistrada al terzo e più importante accordo: quello sulla vigilanza bancaria, che consentirebbe agli istituti di credito del nostro Paese di operare all’interno delle Mura Leonine, con bancomat e simili. Attività al momento vietata, in quanto le norme vaticane sulla vigilanza non hanno i requisiti richiesti. Anche su questo fronte, però, si sta lavorando per trovare un’intesa. E l’accordo fiscale di ieri, un aiutino, anche simbolico, lo fornisce. Il Giubileo è vicino. Il Vaticano ci spera, le nostre banche, probabilmente, pure.