domenica 5 aprile 2015

Corriere La Lettura 5.4.15
Medioevo. Normanni e musulmani
Ma un tempo si scappava dalla Sicilia nel Maghreb
di Amedeo Feniello


Una storia poco raccontata e mal conosciuta parla di un tempo a parti invertite, quando, a differenza di oggi, i barconi, col loro carico di profughi, di morte e di dolore, non andavano dall’Africa verso la Sicilia, in cerca di salvezza. Bensì, tutto al contrario, dall’isola verso la costa opposta. Il tempo è quello dell’invasione normanna della Sicilia. Comincia nel 1061 con lo sbarco a Calcara, a sud di Messina. E da lì si espande fino al 1072, quando gli Altavilla e i loro uomini prendono Palermo che, dopo 240 anni, cessa di essere una città musulmana. Ma non termina ancora. Per completarla, ci vorrà un altro ventennio. Finisce tutto il 23 febbraio 1091, appena pochi anni prima dell’inizio della Prima crociata: una data luttuosa per i musulmani, così ricordata dal cronista arabo Ibn al-Atir: «Quest’anno i franchi, che Dio li maledica, occuparono completamente l’isola di Sicilia. Che il sommo Dio la renda un giorno all’islam».
Il cambiamento provocato è epocale. E non riguarda solo la Sicilia, ma l’intera Europa. Perché l’isola e le sue città, da che erano parte dell’enorme ecumene musulmano che andava dall’Indo a Grenada, vengono ora risucchiate nell’universo occidentale latino-cristiano e diventano giocoforza parte di questo mondo. Con un processo che scardina qualunque equilibrio pregresso, con un’élite di importazione che si insinua in profondità e impone le sue regole e i suoi costumi a tutto l’ambiente islamico, in un contesto dove la diseguaglianza politica e sociale tra dominanti e dominati diventa contrapposizione etnica e religiosa tra cristiani e musulmani. Fase cui segue immediatamente la cristianizzazione e latinizzazione dell’intero territorio, grazie anche all’immigrazione di gente proveniente dall’Italia padana, dal Nord Europa e dalle aree peninsulari del Sud Italia, che cerca, e spesso trova, nella Sicilia un nuovo Eldorado.
Diverso è il destino per i musulmani. Emarginati e isolati a ovest e a sud est dell’isola, sottomessi a un’opera di oppressione culturale e di acculturazione forzata e via via indeboliti dalla nuova presenza normanna. Però, tra essi, non tutti reagiscono nello stesso modo. C’è la massa, che si adatta e, finché può, convive. E c’è chi invece non ce la fa. E va via. Scappa. Sui barconi, verso l’Egitto, l’Africa. Verso una terra che avrebbe potuto garantire, se non migliori condizioni di vita, almeno comunione di lingua e di religione. Sembra che già nei primi anni dopo la conquista sia partito circa un ottavo della popolazione musulmana, 50 mila persone. Immaginiamo: vecchi, donne, bambini, uomini. Una moltitudine che spesso trova, nei luoghi di accoglienza, a al-Mahdia, a Monastir, a Susa, al Cairo oppure in Spagna, in Andalusia, assistenza materiale e morale, con aiuti generosi, senza distinzione di ceto, di età e di sesso, come quella che fornisce ad al-Mahdia l’imam al-Mazari. Un bell’esempio, per allora come per oggi.
Soprattutto scappa la gente che il viaggio può pagarselo. I migliori agricoltori. I commercianti che potevano contare su diffuse reti di relazioni. Uomini di scienza, di legge e di fede. Artigiani. Di loro non ci resta più niente. Parafrasando il Corano, non c’è nessuna terra che racconti la loro storia. Tranne che per uno. Un poeta. Il più grande poeta della Sicilia musulmana, Ibn Hamdis, che lascia l’isola a poco più di vent’anni intorno al 1075, e vive una lunga vita raminga tra il Nord Africa e la Spagna, dove muore nel 1133. I 6 mila versi del suo Diwan sono tipici della tradizione araba. Poesie d’amore. D’encomio. Di descrizione. Ma attraverso i suoi versi scorre anche la tristezza di un uomo costretto a lasciare la sua Sicilia, l’isola splendente e bella, una «costellazione di asteroidi», rimpianta e ora abbandonata nelle mani dei demoni, diventata «landa sterile, dove non puoi visitare altro che tombe». Resta a lui, come a tanti altri suoi conterranei che scelsero la fuga, una sola cosa: la hasra , la nostalgia verso la madrepatria. E quando muore, lascia una preghiera: di essere seppellito col corpo rivolto verso l’isola creata nel cuore del mare da Allah. La Sicilia.