Corriere La Lettura 5.4.15
Geopolitica e migrazioni
L’Africa gialla ci salverà
Siamo spaventati all’idea di un’invasione ancora più massiccia dalle coste meridionali del Mediterraneo
Ma gli investimenti della Cina in quell’area e nei territori subsahariani in realtà produrranno stabilità, perché la stabilità (anche in Europa) è quello che serve all’organizzazione tecno-scientifica di Pechino
di Emanuele Severino
Nella Repubblica popolare si stanno mettendo in questione due grandi forze della tradizione occidentale: comunismo e capitalismo. In qualche modo ci si sta liberando di esse. E l’Italia? Tempi difficili a breve termine, bene sui tempi medi e lunghi
Gli sbarchi di immigrati, si dice, non riguardano solo l’Italia ma l’Europa. Questa affermazione contribuisce certo ad allargare la visione di quanto sta accadendo, tuttavia la portata della pressione che dal Nord Africa viene esercitata sull’Europa richiede una prospettiva ben più ampia.
Altre volte (e più recentemente anche sul «Correre della Sera» del 10 gennaio scorso) ho richiamato che, anche ammettendo una massiccia presenza di popolazioni islamiche e prevalentemente africane in Europa e in Occidente, questo fatto produrrebbe certamente gravi problemi nel breve termine, ma a lungo termine il carattere determinante della tecno-scienza nelle società occidentali finirebbe col dominare anche l’islam, come sta dominando la tradizione dell’Occidente; e anche l’islam, per essere potente e vincente, dovrebbe porsi come scopo primario non più il contenuto della propria fede, ma la potenza dell’apparato tecnico soltanto mediante il quale l’islam, come tutte le forze della tradizione occidentale, potrebbe imporsi sulle forze antagoniste. E se il suo scopo primario fosse questo, a imporsi non sarebbe più l’islam, ma la razionalità della tecnica — essendo a questo punto indifferente quale razza umana (bianca o no) verrebbe a trovarsi portatrice di tale razionalità .
Questa volta vorrei invece mostrare l’estrema improbabilità che abbia a realizzarsi in Europa quella massiccia presenza di popolazioni non europee a cui ho accennato e che peraltro viene ritenuta possibile non soltanto dalla fantapolitica. In Africa sono in gioco, oltre a quelli europei, gli interessi degli Stati Uniti e della Cina, ma anche, sebbene in minor misura o in modo più indiretto, della Russia, che peraltro è più che mai presente nel contiguo scacchiere del Medio Oriente.
Per quanto possa sembrare strano a chi non ha occhi che per i «problemi concreti e immediati», si può dire comunque che sarà la Cina a decidere l’esito dell’immigrazione africana in Europa. La crescita continua degli investimenti cinesi in Africa porta gli analisti ad affermare che la Cina sta diventando il maggior partner commerciale di quel continente. Non solo. Gli investimenti cinesi hanno di mira, oltre alle risorse naturali di cui l’Africa è ricca, e di cui la Cina ha grande bisogno, un imponente programma di interventi sanitari, educativi, culturali, edilizi.
Due anni fa la stampa britannica ha riportato la notizia che in Africa la Cina sta costruendo, addirittura, un numero rilevante di città, che però rimangono disabitate per il prezzo delle abitazioni, inaccessibile agli africani (il che doveva peraltro esser noto agli imprenditori cinesi già prima dell’apertura dei cantieri).
Si è cercato di interpretare il senso di questo atteggiamento e la risposta che sta accreditandosi è che la Cina cerca spazi per il miliardo e trecento milioni dei propri abitanti. Come del resto sta già facendo da tempo, sebbene in modi del tutto diversi, cioè con le infiltrazioni e immigrazioni dei propri abitanti nella Siberia orientale. Ma l’Africa è per la Cina lo spazio ideale. E più accessibile: non è la Siberia che appartiene alla Russia. Nei rapporti di forza planetari la Cina si trova infatti schierata con la Russia; e anche in Africa l’avversario della Cina sono gli Stati Uniti, leader dello schieramento antagonista a quello che fa capo alla Russia.
Il modo in cui la Cina è presente in Africa porta a escludere che questa sua presenza sia guidata da un progetto destabilizzante. Se si vogliono il conflitto e la destabilizzazione, non si costruiscono città che, restando momentaneamente vuote, sembrano attendere abitanti diversi da quelli locali; né si dà vita a progetti sanitari ed educativi e persino culturali. Ma, soprattutto, conflitto e destabilizzazione ostacolano quello sfruttamento delle risorse di cui l’Africa è ricca e di cui la Cina non può fare a meno, anche perché esso è strettamente connesso alla soluzione del problema demografico. Certo, la Cina in Africa vende armi; ma è presumibile che le venda a chi sia favorevole o almeno non sia contrario al progetto che in quel continente essa sta realizzando.
L’ingegneria sociale dello Stato cinese può manovrare masse di popolazione in misura molto superiore a quella praticabile dalle democrazie occidentali (pur non dimenticando lo spopolamento delle campagne determinato dal capitalismo occidentale). Ma sarebbe ingenuo pensare che la Cina si proponga di trasferire in Africa decine, se non centinaia, di milioni di cinesi mediante un cataclisma sociale, e cioè che faccia loro posto spingendo gli africani verso l’Europa.
Ingenuo pensare che quindi riesca a ottenere questa gigantesca migrazione producendo un volume di conflitti e destabilizzazioni ancora superiore a quello che in Africa è già esistente. Nonostante la velocità del suo incremento, la densità della popolazione africana è ancora medio-bassa, cioè capace di sopportare l’incremento addizionale previsto dalla politica demografica della Repubblica popolare cinese, che da un lato è fornita di grande competenza nel contenimento della natalità e, dall’altro, non avrebbe alcun interesse a gestire una migrazione di quelle proporzioni (giacché per la Cina si tratterebbe, appunto, di gestirla, non di subirla). Lo Stato islamico, che non ha la capacità di gestirla e che d’altra parte se la augurerebbe e farebbe il possibile per avviarla, si trova pertanto, oggettivamente, a ostacolare gli interessi cinesi e cioè viene da essi arginato.
L’Occidente accusa la Cina di riproporre il vecchio colonialismo europeo. E invece essa si muove su un piano diverso da quello politico-militare. Diverso e molto più efficace. È il piano dell’organizzazione tecno-scientifica della realtà sociale.
In Cina, forse più che altrove, si stanno mettendo in questione due grandi forze della tradizione occidentale: capitalismo e comunismo. In qualche modo ci si sta liberando di esse. E questo atteggiamento si rispecchia nella configurazione della presenza cinese in Africa. Dove la Cina vuole equilibrio e stabilità perché richiesti dall’organizzazione tecno-scientifica della sua presenza. Ma anche perché una migrazione di questa entità destabilizzerebbe l’Europa intera e quindi a lungo andare pregiudicherebbe la sua capacità di essere partner affidabile delle esportazioni russe, e nella contrapposizione planetaria tra i due schieramenti, a cui qui sopra mi sono riferito, la Cina non ha alcun interesse a creare problemi alla Russia. Quindi anche la Russia ha interesse che in Africa la Cina abbia a portare equilibrio e stabilità.
E una destabilizzazione dell’Europa non è nemmeno negli interessi degli Stati Uniti, che vogliono sì guidarla, ma non vogliono guidare un malato che non sappia reggersi sulle proprie gambe. Che nel Mediterraneo siano presenti, oltre a quelle europee e statunitensi, anche le navi da guerra russe e cinesi — e siano presenti in relazione ai problemi del mondo arabo — è un fatto così del tutto estraneo al tema, che stiamo considerando, della pressione dell’Africa sull’Europa? Anche nel Mediterraneo il rapporto tra Stati Uniti da una parte e Cina e Russia dall’altra è conflittuale, e tuttavia, per motivi diversi, è nell’interesse dei contendenti che la debolezza dell’Europa non superi una certa soglia.
Si può quindi dire che, se nel breve termine l’Europa e soprattutto l’Italia vanno incontro a tempi difficili, per quanto riguarda il medio e lungo termine esiste invece un insieme di fattori che rendono irrealizzabile quell’immigrazione di massa dall’Africa all’Europa che viene a volte presentata come una minaccia incombente.
D’altra parte l’Italia pratica da tempo, nei confronti della Russia, una politica alternativa rispetto a quella tedesca, britannica, francese. Tenuta in subordine dalle potenze europee, l’Italia, più o meno consapevolmente da parte di chi ha gestito e gestisce la sua politica estera, fa loro capire come i vantaggi che esse non le riconoscono potrebbe in qualche modo ottenerli appoggiandosi alla Russia: soprattutto oggi che verso la Russia l’Europa intende irrigidirsi per la questione ucraina. Potrebbe essere, questa dell’Italia, una buona mossa, da coltivare, per smuovere un poco, nell’immediato, il sostanziale disinteresse dell’Europa per gli sbarchi degli immigrati nel Sud del nostro Paese.