domenica 12 aprile 2015

Corriere  La Lettura 12.4.15
Sì, la cultura riflette la biologia
Rizzolatti e la rivoluzione dei neuroni specchio
«Chi ci critica è fermo agli studi degli anni 90»
intervista di Luigi Ripamonti


Giacomo Rizzolatti sarà il primo relatore del ciclo di conferenze Sharing The World , organizzato da Intesa SanPaolo per Expo 2015. L’argomento non sorprende, visto che poche scoperte come la sua dei neuroni specchio nel 1992 hanno a che fare con il tema della condivisione, autentico spirito del tempo grazie ai social media. «È vero, la necessità di maggior contatto sociale e di condivisione è molto sentita — spiega a “la Lettura” il professor Rizzolatti — ma il meccanismo dei neuroni specchio funziona meno bene con la realtà virtuale: condividere attraverso un computer è diverso che trovarsi faccia a faccia. Può sembrare banale, ma ci sono dati scientifici che marcano chiaramente questa differenza».
Secondo lei Facebook e Twitter e gli altri social media sono quindi surrogati inefficienti della condivisione, almeno a livello neurologico?
«Sì, certamente. Non si tratta di dare giudizi, casomai di prendere atto che il crollo di partiti, ideologie e altri aggregatori culturali ha fatto mancare punti di riferimento capaci di favorire la partecipazione. E come cantava Gaber, la “libertà è partecipazione”. Oggi invece viviamo in un periodo disaggregante, che favorisce l’individualismo: una tendenza che sta mettendo in crisi la società. La gente, però, vuole avere rapporti, ne ha molto bisogno e il successo dei social network ne è una cartina di tornasole. Ma i media sociali non compensano la carenza di contatti umani» .
Non sarà forse solo un po’ di nostalgia?
«No. Non parlo da sociologo né le mie osservazioni sono ispirate da rimpianti per il passato. Il mio punto di osservazione è quello di un neurologo che, dati alla mano, prende atto che oggi le neuroscienze sottolineano molto la corporeità, il rapporto umano, da persona a persona, non quello astratto. Del resto, quando parlo di neurologia chi ascolta rimane freddo, ma quando arrivo al punto in cui spiego che la scoperta dei neuroni specchio valida l’empatia, conferendogli una corrispondenza biologica, l’uditorio si scalda, si entusiasma. Vorrà pur dire qualcosa».
A proposito di sociologia: le implicazioni socio-culturali di un correlato biologico dell’empatia sono potenzialmente enormi sul piano culturale .
«Sì, anche se devo dire che alcuni intellettuali accettano con una certa fatica che biologia e valori culturali abbiano corrispondenza».
C’è forse resistenza dovuta al timore di un riduzionismo eccessivo?
«Uno scienziato, mentre fa lo scienziato, dev’essere riduzionista per forza, il che non significa che personalmente non possa avere uno sguardo sulla realtà che travalica le proprie misurazioni. Però non si vede il motivo per cui determinati valori culturali non possano avere una corrispondenza socio-biologica. Il caso dell’empatia è paradigmatico. Il messaggio morale “non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te” è fondante per la costruzione di una società come vorremmo che fosse: perché allora sorprendersi che questo concetto possa trovare albergo in un meccanismo neurologico che si è sviluppato con noi e che ha contribuito a costruire i nostri modelli di convivenza? Si tratta di un’istanza favorevole, positiva, mentre l’egoismo, il vivere solo per se stessi, è nemico degli altri e del futuro della società».
I neuroni specchio possono essere quindi letti anche in chiave evoluzionistica?
«Bisogna andarci cauti, ovviamente, però il famoso neuroscienziato Vilayanur Ramachandran ha ipotizzato che la civiltà possa essere iniziata quando i neuroni specchio dei quali erano dotati alcuni tipi di primati sono cresciuti di numero, permettendo non solo di imparare a imitare sempre di più e sempre meglio, quindi di progredire tecnologicamente, ma anche di iniziare a capire che quando un individuo si comporta come me , probabilmente è come me. E se è come me, voglio che non finisca, quindi quando muore lo seppellisco e sulla sua tomba metto un segno per ricordarlo, e così via. La nascita della cultura insomma: solo una teoria, però molto interessante».
I neuroni specchio possono aiutare anche nella scoperta della coscienza?
«Capire perché e come la materia possa pensare se stessa è un problema parecchio più arduo che non il limitarsi a parlare di empatia. Credo che in questo siamo ancora lontanissimi da una vera spiegazione».
Però i neuroni specchio pare possano spiegare molte cose. E questa è anche una delle critiche che più spesso vi viene rivolta: come possono svolgere un ruolo così centrale e fondamentale in processi complessi pochi neuroni della corteccia motoria?
«Questa è l’obiezione tipica che ci viene mossa da chi ha letto soltanto i nostri primi studi sull’argomento, che risalgono agli anni Novanta. In realtà quello che abbiamo scoperto è un meccanismo che trasforma l’informazione sensoriale in un programma motorio. Il classico esempio della tazzina di caffè che viene sempre usato serve per spiegare il meccanismo in termini semplici. Se però io vedo un bambino piangere quest’informazione visiva e acustica si trasforma in un’emozione e non c’entrano i neuroni specchio che abbiamo scoperto nel 1992, ma aree dell’ insula e di altri centri nervosi, dotati di questo meccanismo. Le aree visive e sensoriali elaborano le informazioni, successivamente dobbiamo capire l’informazione, farla nostra e trasformarla in un segnale capace di attivare il sistema motorio, che è, di fatto, l’unico che comandiamo davvero. Io capisco gli altri nel momento in cui il loro “programma” diventa il mio. In un certo senso è la fenomenologia di Husserl in termini fisiologici. Se io guardo la tazzina di caffè presa da qualcuno siamo allo schema motorio del ’92, mentre per le emozioni usiamo circuiti radicalmente diversi, che ci permettono la comprensione del significato di gesti anche piccoli e del significato che il loro stile ci comunica. Ci sono poi complessi sistemi top-down in cui i neuroni specchio sono implicati: ovvio che da soli i neuroni specchio non spieghino tutto».
Quali applicazioni pratiche potranno avere gli studi in corso ora sui neuroni specchio?
«Fra le altre, io spero molto che ci permettano di aiutare i bambini autistici. Proprio analizzando i correlati neurologici di piccoli gesti abbiamo capito che chi soffre di autismo ha difficoltà a capire se qualcosa viene fatto, per esempio, con dolcezza o con rudezza. Quest’incapacità interpretativa rende la vita difficilissima. E queste ricerche coinvolgono le funzioni dei neuroni specchio e l’empatia».
Queste osservazioni potrebbero essere applicate, su scala diversa, anche allo studio delle facoltà empatiche più in generale?
«Certamente sì, anche se ovviamente bisogna diffidare di chi offre interpretazioni frettolose o superficiali sui neuroni specchio e sulle loro facoltà».
Lei ha avuto una vita movimentata: nato a Kiev da famiglia italiana, tornato in patria all’epoca delle purghe staliniane, si è laureato in Medicina nel nostro Paese e qui ha potuto condurre con successo le sue ricerche. Oggi crede che sarebbe ancora possibile?
«Le difficoltà burocratiche, la spending-review , il blocco delle assunzioni negli atenei oggi rendono la vita universitaria più difficile e spesso sgradevole. Per non parlare dell’annoso problema della quota del Pil destinata alla ricerca. Però se la ricerca ristagna è anche colpa nostra. Ci vorrebbe un sistema più meritocratico per i professori ordinari. Io proporrei contratti a tempo determinato, rinnovabili ogni cinque anni. Poi, se non si ha una produzione scientifica adeguata non si deve necessariamente essere licenziati, ma si può essere destinati, per esempio, alla sola attività didattica, lasciando fare ricerca a chi ha voglia e capacità di farla».
Può farci l’esempio di un personaggio pubblico che secondo lei ha capacità empatiche che fanno pensare sia dotato di un sistema specchio particolarmente efficiente?
(ride) «Mourinho: per convincere Eto’o a giocare terzino doveva avere doti empatiche fuori del comune».