giovedì 9 aprile 2015

Corriere 9.4.15
I sogni infranti di Gezi Park «La Turchia è peggio di ieri»
I ragazzi a due anni dalla rivolta: ma oggi discutiamo di politica
di Elisabetta Rosaspina


ISTANBUL Gezi Park può ripetersi, quasi certamente non al Parco di Gezi, alberato e pieno di viole del pensiero, in questa primavera. Ma sorvegliato a vista dalla polizia. Mancano poche settimane al secondo anniversario dell’inizio della rivolta di piazza Taksim, a Istanbul. Chi c’era, in quei giorni, ammette adesso: non era per una Turchia come questa che migliaia di manifestanti di ogni età, ceto sociale, ideologia (o assenza di ideologia) si sono battuti per 19 giorni nel cuore della città, mettendo in agitazione tutto il Paese, fino a estate inoltrata.
Una vittoria di Pirro: da sabato scorso anche una fionda rientra tra le armi il cui possesso può portare dritto in galera per quattro anni, come i fuochi d’artificio o un sasso raccolto per strada. I poteri della polizia sono stati rafforzati dalla nuova legge sulla sicurezza firmata dal presidente Recep Tayyip Erdoğan e tesa a scoraggiare altre Gezi Park prima delle cruciali elezioni politiche del 7 giugno. Gli agenti hanno licenza di sparare ai dimostranti che impugnano molotov o esplosivi e non hanno più bisogno d’informare i giudici per fermi fino a 48 ore; le pene per chi oltrepassa il limite si sono inasprite, la censura si è incattivita. Un volto coperto equivale a un’ammissione di colpa. Tanta sicurezza non rassicura chi al Parco di Gezi, due anni fa, c’era.
Come Ceyda Sungur, «la ragazza in rosso» con la borsetta bianca, investita in pieno volto dagli spruzzi di gas al peperoncino degli uomini in divisa. La foto scattata da Osman Orsal scandalizzò il mondo, ma la protagonista preferisce essere dimenticata e rimanda a Tayfun Kahraman, giovane docente universitario, all'epoca portavoce di «Solidarietà con Taksim»: «Non esiste un movimento politico che possa chiamarsi Gezi Park - premette il professore -. E nemmeno allora ci si aspettava che ne scaturisse un partito, anche se qualcuno poi ha provato a fondarlo. Sono nati invece gruppi di solidarietà, piccoli forum di quartiere. Ma quell’esperienza è terminata e forse irripetibile».
Salvo negli incubi del presidente Erdoğan e del suo primo ministro, che non hanno scordato la «pensionata con la fionda», altra icona rivoluzionaria del 2013: una canuta signora con chignon e mascherina immortalata mentre usava la sua «arma». Quanto basta oggi per finire dietro le sbarre.
«Le proteste di Gezi Park non c’entrano con chi cerca ora di strumentalizzarle, nè con i terroristi che hanno agito in suo nome - prosegue Kahraman -. La goccia che fece traboccare il vaso fu la decisione di tagliare gli alberi per costruire un centro commerciale. Poi hanno radunato chi voleva opporsi al razzismo e alle discriminazioni, alla corruzione e alla cementificazione della città. Siamo riusciti a salvare il parco». Forse anche qualcos’altro: «La politica, dopo i fatti di Gezi Park, ora interessa molto di più noi giovani - testimonia Ayse, 25 anni, studentessa di belle arti -. Da allora io e i miei amici siamo molto più attenti, discutiamo, vogliamo sapere. Twitter è la fonte d’informazione di cui ci fidiamo di più. E Halk TV, naturalmente».
Halk TV è un canale di televendite che divenne l’eroe di Gezi Park trasmettendo fin dal principio notizie no stop sull’occupazione del parco, mentre le grandi reti nazionali mandavano in onda documentari sui pinguini. Ora è un canale di news, ma non riceve pubblicità, perché inviso al governo, e per sopravvivere alterna telegiornali e televendite.
Ayse è tornata a manifestare domenica contro la costruzione nel quartiere di Bebek di un porto turistico per 300 barche che restringerebbe pericolosamente il passaggio delle navi sul Bosforo: «Eravamo in mille. Abbiamo formato una catena umana del tutto pacifica, ma non cederemo. Il progetto va ritirato: sarebbe una catastrofe ecologica». Il vento di Gezi Park soffia ancora.