giovedì 30 aprile 2015

Corriere 30.4.15
Ora a sinistra si evocano i gruppi autonomi
di Monica Guerzoni


L’idea che circola tra i «duri». Area riformista lacerata: l’ipotesi delle carte bollate per contendersi il marchio Ma sulla scissione i big dell’ala dissidente frenano. Bersani: «Non esco dal Pd, è Renzi che ha fatto lo strappo»
ROMA «E chi li guida i nuovi responsabili, Scilipoti?» ironizza un bersaniano reduce dalla lunga notte che ha lacerato la minoranza, prima che il giorno spaccasse come una mela anche il Pd. Dalle ceneri di Area riformista nascono due nuove componenti del Pd. Da una parte i 38 «riformisti» (opposizione dura e pura) che non hanno votato la fiducia. Dall’altra i nuovi filo-renziani, che si sono smarcati dai «padri» rottamati dicendo sì al governo e professando lealtà con la lettera dei 50: un documento che Nico Stumpo paragona a un «volantino ciclinprop» stile anni ‘70 e un’altra dissidente bersaniana, Enza Bruno Bossio, definisce «falso perché senza firme». Dopo i tormenti e le lacrime potrebbero arrivare anche le carte bollate, perché si litiga anche sul marchio di Area riformista .
Adesso nel partito di Renzi tutto può succedere. Dalla costruzione di una agguerrita corrente ulivista che si riconosca in Letta e Bersani (ma anche in Prodi e D’Alema) alla nascita di un nuovo soggetto politico. «Renzi ha compiuto un atto grave sul piano democratico, questo strappo lascerà dei segni — pensa al dopo Stefano Fassina — Sarebbe stupido negarlo. Il congresso è chiuso, ora la minoranza è quella che vota in modo diverso». La nuova fase potrebbe portare alla nascita di gruppi autonomi. «Sul no al provvedimento saremo più di 38», spera Rosy Bindi. Non teme sanzioni? «Se vogliono cacciarci, lo facciano».
A sinistra si sono convinti che Renzi stia correndo verso le elezioni anticipate. Cuperlo, che ha perso nel primo voto 7 deputati su 21, pensa che la fiducia avrà «ripercussioni sui tempi della legislatura». E Bindi: «Elezioni più vicine? Chi lo dice non ha torto, l’Italicum è un’arma che Renzi vuol tenersi per avere le mani libere». Bersani è durissimo, pensa che Renzi stia sottovalutando un precedente che «non porterà nulla di buono» e non accetta, dichiara, che «si zittisca il Parlamento su un tema così».
Il presidente dell’Emilia Romagna, l’ex bersaniano Stefano Bonaccini, comprende il dramma degli ex compagni: «La scissione? È legittimo che qualcuno se ne voglia andare perché non si sente più a casa». Il dilemma di Bersani è che un fondatore del suo calibro non ha alcuna voglia di fare «il nanetto di Biancaneve» in un partito mignon del 3%: «Io non esco dal Pd, bisogna tornare al Pd. È Renzi che ha fatto lo strappo, non io». Ma Alfredo D’Attorre non esclude nulla: «Dobbiamo trovarci una prospettiva nuova in tempi brevi». Stumpo frena: «Ci batteremo per costruire un’area di minoranza che contenderà a Renzi la guida del Pd».
Rancori, veleni, amicizie in pezzi. In termini di rapporti umani e politici chi paga il prezzo più alto è Roberto Speranza, che si è visto sfilar via più di mezza corrente dai «governativi» Martina e Mauri, dopo il drammatico processo subito dai suoi la notte della vigilia. Tra i deputati che non hanno tradito l’ex capogruppo si parla molto della presunta «compravendita» da parte dei renziani: un pressing tutto politico per convincere bersaniani e lettiani incerti a passare il guado: «Si sono mossi Renzi, Boschi e Lotti promettendo posti in lista e presidenze di commissione». Damiano e Boccia? «Hanno votato la fiducia...». Il ministro Orlando non fa mistero di aver fatto un paio di telefonate: «Pressing? Ma no... Una è andata bene, l’altra no».
Lettiane come l’ex ministro Carrozza e la sottosegretaria De Micheli hanno votato sì. E c’è anche chi è riuscito a resistere, a metà. Lattuca dice di essersi fatto «violenza» per votare la fiducia, ma boccerà l’Italicum.