Corriere 2.4.15
Il difficile dialogo bipartisan sul fronte dei diritti civili
Due proposte parlamentari su legalizzazione della cannabis e fine vita
di Luigi Manconi
Caro
direttore, nelle scorse settimane sono state promosse in Parlamento due
iniziative parallele, entrambe su questioni ruvidamente controverse. La
prima ha portato alla costituzione di un intergruppo parlamentare
favorevole alla legalizzazione della cannabis; la seconda è finalizzata
alla depenalizzazione delle fattispecie che variamente, nel codice
penale, si riferiscono all’eutanasia. Nel primo come nel secondo caso,
le adesioni hanno raggiunto un numero consistente, pur rappresentando
solo una minoranza rispetto al totale di deputati e senatori.
Ma
l’anomalia che emerge è, piuttosto, un’altra. Scorrendo l’elenco dei
sottoscrittori, un dato balza agli occhi: tra chi aderisce alla prima
iniziativa e chi aderisce alla seconda risultano solo parlamentari
appartenenti al centrosinistra e alla sinistra (se si considerano in
qualche modo all’interno di quest’area anche quelli del Movimento 5
stelle). Con due sole e isolatissime eccezioni: all’appello per
depenalizzare l’eutanasia aderisce Daniele Capezzone (Forza Italia),
all’intergruppo per la legalizzazione della cannabis Antonio Martino
(Forza Italia).
Dunque, risulta una sovrapposizione quasi perfetta
tra schieramento di centrosinistra e sinistra e domanda di diritti di
libertà e di autodeterminazione. In altre parole, la frattura
destra/sinistra in Italia, nella sfera politico-parlamentare, sembra
collocare tutti i fautori di più libertà civili e sociali in un campo e
tutti i critici di quelle stesse libertà civili e sociali nel campo
opposto. E, infatti, poco più movimentata appare anche la situazione dei
due schieramenti intorno alla tematica delle unioni civili.
Ovvio
che si tratta di problematiche, per così dire, estreme: ma non c’è
dubbio che rimandino a un principio di autonomia individuale e di
indipendenza del cittadino dallo Stato: ovvero due capisaldi del
pensiero liberale. Ma così non sembrano pensarla i parlamentari di
centrodestra.
Una prima spiegazione, assai semplice, è che non sia
scontata l’appartenenza del centrodestra a una cultura liberale (se
non, appunto, con rare eccezioni); e non è scontato nemmeno che la
cultura liberale, quando pure vi sia, si riconosca pienamente
nell’affermazione dei diritti civili. Esiste, ad esempio, una cultura
liberale di ispirazione cattolica che sul tema esprime una posizione di
massima prudenza quando non di forte avversione.
Non solo: alcuni
segmenti del centrodestra, scopertisi privi di un sistema di valori che
ne definisse l’identità e ne rafforzasse la capacità di attrazione, si
sono rivolti al cattolicesimo e al suo codice morale, come l’unico
capace di tenere insieme («laicamente») ciò che resta delle tradizionali
culture andate in pezzi. Ne è derivato un liberalismo che guarda al
cattolicesimo, o che si dice cattolico, di netta fisionomia
conservatrice.
D’altra parte, liberalismo non corrisponde
immediatamente a libertarismo, anzi. E, dunque, è immaginabile anche un
liberalismo tutto concentrato sulla sfera dell’economia e delle
istituzioni e scarsamente attento ai diritti individuali, se non a
quelli propri dell’impresa e dell’autonomia individuale nei confronti
dello Stato e della sua pretesa di ingerenza nella vita dei cittadini.
Anche in questo caso, pertanto, si avrebbe un liberalismo estraneo o
comunque non sensibile alla tematica dei diritti civili. O, se si
preferisce a quei diritti civili così radicali e, come si è detto, così
ruvidamente controversi.
Ma anche una simile risposta non può
soddisfare. La nuova generazione di diritti impone l’esigenza di
affrontare dilemmi etici laceranti, sui quali in tutti gli altri Paesi
anche i liberali, e spesso soprattutto i liberali, si interrogano con
coraggio e razionalità. In Italia, non accade quasi mai.
E la
spiegazione potrebbe essere ancora meno rassicurante. Potrebbe darsi,
cioè, che sia proprio il tema dell’autonomia individuale e delle
garanzie a sua tutela che è rimasto estraneo allo sviluppo delle idee
liberali in Italia. Quasi che tali idee siano state sempre monche,
sempre limitate a una interpretazione economicistica o formalistica
della libertà e sempre preoccupate della stabilità delle relazioni
sociali più che della loro trasformazione nel segno della pluralità dei
diritti.
Ne potrebbe conseguire un’ulteriore e ancora più
allarmante implicazione. Quell’orientamento schiettamente conservatore —
e, per certi versi, fin autoritario — delle culture di destra potrebbe
aver finito per abbracciare l’intero sistema politico, coinvolgendo
anche quelle di sinistra e spiegando in tal modo la sostanziale inerzia
di queste ultime. E non si tratta, forse, di una interpretazione così
temeraria.